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Leggi religiose e leggi civili: poligamia, mutilazione dei genitali, rapporti famigliari


Anche nel nostro Paese non si mancò di proporre in sede politica, allo scopo dichiarato di combattere le collusioni con il terrorismo o anche solo l’estremismo islamico, il riconoscimento dello statuto personale, con la “poligamia e la superiorità dell’uomo sulla donna in famiglia e nel rapporto con i figli, anche in deroga alla Costituzione”.
Ma i sanguinosi attentati di matrice islamica anche in quei Paesi che molto hanno concesso alla personalizzazione del diritto degli appartenenti alle comunità religiose stanno provocando un doveroso ripensamento sull’efficacia di un modello multiculturalista che ora non si esita a denunciare come fallito da tempo e a sostituire con un modello di integrazione “forzata”.
Ma, a parte l’efficacia, interessa qui evidenziare la presupposizione inespressa di un contrasto radicale tra diritti comunitari e diritto comune, assolutamente insanabile senza una deroga alla Costituzione: la costruzione di una società separata nel territorio di immigrazione, che negozia collettivamente una disciplina derogatoria idonea a consentire il controllo di uno spazio “puro” nello spazio occidentale.
L’applicabilità del diritto personale segnerebbe un ritorno al principio della nazionalità come fondamento del diritto delle genti.
Ma, poiché il principio fondamentale di eguaglianza non tollererebbe deroghe a favore solo di una comunità culturale, né a motivo solo della religione, la soluzione proposta dovrebbe prevedere un complesso sistema di deroghe, tante quante sono le comunità che intendono vivere integralisticamente, senza contaminazioni, la propria identità religiosa o nazionale o anche culturale.
La contestualizzazione di alcune domande di riconoscimento pubblico, dalle c.d. mutilazioni genitali femminili al matrimonio poligamico, dall’abbigliamento all’istruzione, può persuadere del contrario e descrivere le conseguenze anacronistiche e fuorvianti di una comunitarizzazione della relativa disciplina.
Se si prende, per esempio, il diritto del matrimonio e della famiglia, si constata che non solo l’Islam, ma anche altre confessioni si informano a dottrine o tradizioni o leggi diverse rispetto a quelle civili.
La mancanza di rivendicazioni in proposito si giustifica evidentemente in costanza del principio di territorialità della legge statale in materia.
Ma il cedimento al principio di personalità della legge nei confronti di una comunità innescherebbe verosimilmente una reazione a catena.
La poligamia e le mutilazioni genitali femminili sono ingiustificabili eccessi differenzialisti (che anche nei Paesi in cui si esercitano, iniziano ad essere poste in discussione dai legislatori), che tuttavia non valgono a destituire di fondamento le regioni della differenza e a suffragare la causa della esclusività del diritto comune.
Certo non è agevole ricercarne volta a volta il punto di equilibrio con le diversità culturali e religiose ed è forte il rischio di ondeggiamento tra le sponde opposte del comunitarismo e dell’universalismo.
Proprio questo, tuttavia, è il campo operativo della norma di riconoscimento della laicità, intesa nel senso interculturale e policentrico di cui si è detto.
Il tasso di compatibilità rivelato dalla norma di riconoscimento oscilla fra il massimo e lo zero: a titolo esemplificativo, e per stare ai casi che il conflitto sociale odierno ha maggiormente portato in evidenza, si può dire che tende al massimo di compatibilità l’istruzione religiosa, tanto nella scuola pubblica quanto negli edifici di culto, e allo zero la disciplina delle mutilazioni genitali femminili.
Ovviamente, i diritti più numerosi stanno nel mezzo e possono ottenere una soluzione ben temperata a legislazione invariata.
Qui si affronteranno alcuni dei casi più controversi: dall’abbigliamento, al matrimonio e, in certa misura, anche all’assetto scolastico.

Tratto da EGUAGLIANZA E DIVERSITÀ CULTURALI E RELIGIOSE di Stefano Civitelli
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