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Dalle proposte della Commissione Onofri alla legge quadro 328/2000


Il progetto di riforma ha una chiara e dichiarata matrice europea, visibile soprattutto nelle proposte relative alla politica contro la povertà e l'esclusione.
L'influenza comunitaria assume un rilievo diretto ed esplicito soprattutto nella proposta di istituzione di uno schema di reddito minimo dal forte profilo attivo.
La filosofia dell'universalismo selettivo lega la radicale riforma degli ammortizzatori sociali, da integrare con un sistema efficiente di servizi reali per l'impiego, all'introduzione di uno schema di reddito minimo garantito, a sua volta disegnato in termini attivi e inclusivi.
Sono questi i passaggi indispensabili di una riforma che punta alla costruzione di una rete universale ed efficiente di sicurezza attiva, nell'ottica di una complessiva opera di riequilibrio della struttura interna della spesa sociale italiana e di un graduale travaso di risorse dalla previdenza pensionistica pubblica al settore dell'assistenza e dei servizi alle persone e alle famiglie.
La riforma degli ammortizzatori sociali prevede la loro complessiva riarticolazione su un sistema a tre livelli, con una sfera di applicazione generalizzata all'intero universo del lavoro subordinato e con una parificazione delle forme di tutela, che ne superi le insostenibili iniquità.
Il terzo livello degli ammortizzatori sociali (laddove i primi due riguardano, rispettivamente, l'integrazione al reddito nel caso di sospensione temporanea del rapporto ed il trattamento di disoccupazione ordinaria), si collega direttamente alla ridefinizione dell'area delle prestazioni assistenziali, nella misura in cui deve fornire sicurezza attiva nei casi di disoccupazione di lunga durata quando la copertura assicurativa non sia disponibile.
L'introduzione di un "minimo vitale" definito e finalizzato a livello nazionale, ma gestito localmente in stretta integrazione col sistema delle politiche attive del lavoro, avrebbe dovuto rappresentare il basilare strumento di redistribuzione monetaria per le fasce più deboli della società, superando uno dei maggiori deficit di protezione del welfare italiano.
L'istituto avrebbe dovuto reintegrare solo in parte la distanza tra le risorse del soggetto, valutate tenendo conto di quelle del nucleo familiare, e la soglia di povertà; nello stesso tempo, esso avrebbe dovuto mirare esplicitamente all'inserimento nel mondo del lavoro dei beneficiari o alla attivazione di percorsi di inclusione sociale e di recupero dell'autonomia.
La soppressione della pletorica congerie di prestazioni categoriali (previdenziali e/o assistenziali), previste dal vigente ordinamento, avrebbe fornito la maggior parte delle risorse necessarie al finanziamento dell'istituto.
È noto come l'ampiezza dello sforzo riformatore immaginato dalla Commissione Onofri abbia potuto tradursi solo in piccola parte in atti concreti.
Appare però indiscutibile come alcune riforme introdotte in tutto o in parte sulla sua scorta, abbiano rappresentato un significativo elemento di innovazione e di autentica modernizzazione del welfare italiano.
Tale è stata senza dubbio la creazione di una prima, embrionale rete di prestazioni di cittadinanza, rivolti a individui e famiglie in condizione di grave bisogno e disagio sociale, in sintonia con la filosofia dell'universalismo selettivo.

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