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L'ampliamento della rete di protezione e la responsabilizzazione dei soggetti protetti e dell'autonomia collettiva


Quanto ai modi e alle tecniche della "flessibilità", va osservato, innanzitutto, che la scarsità del bene "lavoro" da suddividere, da un lato, delle pratiche dirette a trasferire parte delle garanzie dal rapporto di lavoro, dall'altro lato, giustificano l'emersione di interessi del prestatore di lavoro che possano prevalere sull'interesse a conservare il precedente livello di reddito o, addirittura, la stessa "proporzionatezza" della retribuzione.
Ciò presuppone, tuttavia, la predisposizione e l'intervento, in via compensatoria, di prestazioni o servizi integrativi di carattere sociale.
In tale prospettiva, la misura sociale può effettivamente assumere reale e fattivo ruolo primario: esemplificative, al proposito, le vicende che hanno segnato l'introduzione e l'evoluzione dei contratti di formazione e lavoro e dei contratti a tempo parziale.
In una prospettiva che non intenda sacrificare valori sociale altrettanto fondamentali, l'obiettivo dell'incremento occupazionale appare ben difficilmente perseguibile in forma disgiunta dall'impegno di garantire, più in generale, una "rete di protezione" che valga a compensare e, comunque, proteggere chi venga a trovarsi nell'impossibilità di accesso alle forme tradizionali di lavoro, per così dire, "tutelato", o nell'impossibilità di conservarne la relativa tutela: la flessibilità come "vincolo di risultato", si potrebbe dire.
Prestazioni previdenziali e prestazioni del contratto di lavoro non possono che bilanciarsi e completarsi a vicenda.
In tale prospettiva di "modulazione" degli interventi, la tendenza della legislazione più recente appare essere quella di affidare anche alla responsabilità degli stessi soggetti protetti un ruolo specifico e fattivo e, dunque, realizzare, per tal via, una ulteriore "flessibilizzazione".
Nella difficile opera di bilanciamento tra opportunità e tutele, il recente legislatore sempre più spesso attende ad accompagnare la messa a disposizione di una "rete di protezione" con la "responsabilizzazione" dei soggetti privati (sia individuali che collettivi, sia lavoratori che imprese): responsabilizzazione che viene perseguita imponendo, come condizione per la conservazione o l'acquisto della prestazione erogata (o erogabile) o, sul versante delle imprese, per la riduzione degli oneri sociali, l'adozione di determinati comportamenti, obiettivamente idonei a ridurre, eliminare o, comunque, non aggravare la situazione astrattamente giustificativa dell'intervento protettivo stesso.
Invece, il coinvolgimento della responsabilità delle organizzazioni sindacali appare collocarsi sul sottile crinale di una operazione al rischio.
Tanto sembra doversi ritenere per quanto riguarda il compito di favorire l'emersione del lavoro sommerso nel mezzogiorno (e recuperare, in tal modo, contribuzione fiscale previdenziale), che la legge ha affidato alla contrattazione di riallineamento retributivo, ai termini della quale alle imprese del mezzogiorno che aderiscono al relativo accordo quadro provinciale, sono riconosciuti, oltre alla deroga del rispetto dei minimi contributivi, il beneficio della fiscalizzazione e la sanatoria contributiva e fiscale.
La configurazione di tale modello privatistico di intervento sociale appare idealmente collocabile in quel contesto ancora non ben definito, ma sicuramente variegato e in espansione, che è proprio delle cosiddette "clausole sociali", e che merita ormai di essere considerato con grande attenzione per il ruolo potenzialmente rilevante a livello generale del sistema stesso di protezione sociale e, quindi, ben oltre l'originaria prospettiva.

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