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La riforma pensionistica del 2004


Quanto concretamente apprestato da ultimo dal legislatore nazionale del 2004, ben difficilmente potrebbe essere giudicato all'altezza del compito richiesto dalla suddescritta articolata, complessa situazione.
La stessa previdenza complementare risulta considerata da tale legge di riforma secondo un'ottica che mal si rapporta all'impostazione "binaria".
D'altra parte, la disciplina dell'opzione tra trattamento di fine rapporto e previdenza pensionistica complementare si colloca in una posizione mediana, quanto inappagante, tra obbligatorietà e facoltatività della particolare forma di tutela sociale.
Per altro verso, la frammentazione dei rapporti lavorativi tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro, e la diffusione di lavori precari, trovano nel recente intervento una considerazione non certo adeguata alla "sfida", diretta alla creazione di occasioni di interazione tra discipline del mercato del lavoro e discipline previdenziali.
Se si esclude la considerazione del fenomeno del frazionamento delle posizioni assicurative, che fatta oggetto da parte della l. 243/2004 di una programmata, rinnovata (ma pur sempre "avara") disciplina della totalizzazione, la situazione dei lavoratori con occupazioni discontinue, a reddito ridotto, può attualmente trovare possibilità di "recupero" previdenziale soltanto attraverso l'attivazione degli strumenti del riscatto e della contribuzione volontaria: cioè con oneri finanziari a totale carico degli stessi soggetti bisognosi.
Ma, comunque, è nelle disposizioni più direttamente e dichiaratamente finalizzate a rispondere alla "sfida demografica", che appaiono manifestarsi con maggiore evidenza i limiti intrinseci i della strategia della quale è espressione la l. 243/2004.
L'obiettivo dell'innalzamento dell'età di pensionamento, che nel disegno originario del 2001 si limitava a prevedere interventi diretti ad incidere sul livello medio di accesso al pensionamento tramite misure premiali per il differimento del pensionamento, viene concretamente perseguito dalla l. 243/2004 non soltanto attraverso misure di detto tipo, ma anche attraverso misure autoritative, dirette all'elevazione della stessa età edittale di pensionamento.
Dette misure autoritative contemplano l'inasprimento dei requisiti di accesso alla pensione di anzianità, tanto anagrafici, quanto contributivi, con una progressione che, partendo dal 2008, è destinata ad arrivare al suo livello massimo (35 anni di anzianità contributiva e 62 anni di età) nell'anno 2014.
Soltanto con anzianità contributiva pari ad almeno 40 anni si potrà accedere al pensionamento di anzianità, senza condizionamento alcuno di anzianità anagrafica.
Inoltre, per i lavoratori la cui pensione destinata ad essere liquidata esclusivamente con il sistema contributivo, tale legge ha stabilito che, se l'anzianità contributiva non raggiunge i 35 anni, per poter accedere al pensionamento il lavoratore deve aver compiuto 60 anni se donna, e 65 anni se uomo.
Dunque, rispetto all'attuale disciplina, a decorrere dal 2008 l'età per il pensionamento di vecchiaia delle donne sarà innalzata di 3 anni e quella degli uomini di ben 8 anni (oggi con la l. 335/95 l'età pensionabile varia tra 57 e 65 anni); con l'ulteriore effetto della reintroduzione di una differenziazione per genere dell'età di pensionamento.
La disciplina autoritativa, comunque, fa corpo con misure "promozionali", dirette ad indurre i lavoratori, in possesso dei requisiti minimi per l'accesso al pensionamento, a proseguire spontaneamente l'attività lavorativa, differendo il godimento del diritto alla pensione stessa.
Un primo ordine di misure è espressione di una scelta, per così dire, "astensiva", la legge limitandosi a garantire una sorta di immunità da successive innovazioni a coloro che abbiano maturato o maturino entro il 2007 i requisiti per il pensionamento secondo la vigente disciplina, e intendano proseguire l'attività lavorativa.
Invece, con un secondo gruppo di norme, il recente legislatore, al fine di indurre con effetto immediato il comportamento desiderato, predispone specifiche e consistenti misure premiali a favore del lavoratore che eserciti l'opzione per il differimento del pensionamento, e precisamente: l'estinzione dell'obbligo del datore di lavoro di versare la contribuzione per l'assicurazione obbligatoria per la vecchiaia, l'invalidità e i superstiti, a decorrere dalla prima data utile per il pensionamento prevista dalla normativa vigente; il diritto del lavoratore all'accredito da quella stessa data, come voce aggiuntiva di retribuzione, di somma corrispondente a detta contribuzione (il cosiddetto bonus, pari al 32,7% della retribuzione lorda fino a euro 37.883, e al 33,7% per gli importi superiori); l'assoggettamento di detta quota aggiuntiva di retribuzione al regime di deducibilità fiscale.
Al lavoratore, d'altra parte, viene garantito che l'esercizio della facoltà in questione non comporti detrimenti pensionistici (salva, ovviamente, l'irrilevanza del periodo lavorato in regime di esenzione contributiva).

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