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Protezione sociale e mobilità geografica


La tecnica della totalizzazione o del cumulo, assieme agli altri principi regolativi che presiedono al coordinamento dei regimi legali nazionali di sicurezza sociale, è da sempre stata utilizzata in ambito comunitario al fine di consentire la libera circolazione della forza lavoro all'interno del mercato comune.
Ciò non toglie che i regolamenti comunitari in materia di coordinamento dei regimi di sicurezza sociale degli Stati membri non siano stati in certa misura "spiazzati" dai grandi cambiamenti intervenuti tanto sul piano socio-economico quanto su quello degli stessi sviluppi giuridico-istituzionali dell'integrazione europea.
Un’area di storica criticità del sistema di coordinamento e che ne ha forse rappresentato il limite più grave negli ultimi anni, quale è stata quella determinata dall'esclusione dei lavoratori extracomunitari legalmente residenti occupati all'interno dell’Unione dalla sfera soggettiva di applicazione del regolamento 1408/71, è stata finalmente rimossa dal legislatore comunitario.
L'ampliamento della platea dei beneficiari dei diritti comunitari di sicurezza sociale che ne consegue è assai rilevante, specie se si considerano gli effetti congiuntamente derivanti dall'allargamento dell'Unione.
Un’area critica del sistema comunitario di coordinamento riguarda la delicata materia del regime di limitata esportabilità delle prestazioni di disoccupazione.
I limiti temporali che la condizionano appaiono, oggi, a unificazione monetaria pienamente conseguita, inadeguati.
Ed invero, essi rispondono ad un'esigenza rivolta a scoraggiare flussi di disoccupati non immediatamente assorbibili nel mercato interno, che si pone in contrasto con la nuova realtà dell'Unione economica e monetaria, la quale esige, invece, un quadro istituzionale più flessibile e maggiormente adatto a favorire compensazioni su scala comunitaria.
Uno degli interventi più radicali è quello, non nuovo nel dibattito scientifico-politico, dell'introduzione di un minimo sociale europeo, rivolto a tutti i cittadini comunitari (o meglio a quanti risiedano legalmente nell'Unione europea) che si trovino al di sotto di una soglia comune di povertà, appositamente fissata.
Tornando comunque più da vicino al tema della "mobilita geografica" dei lavoratori europei, va conclusivamente notato che limiti alla circolazione intracomunitaria della forza lavoro, non adeguatamente ovviati dalla normativa sovranazionale, riguardano anche altri profili del complesso sistema più livelli dei regimi di welfare degli Stati membri dell'Unione.
La previdenza complementare e rimane assoggettata a regole di "circolazione" e di "portabilità" su ben più deboli e ben più precarie di quelle valevoli per i regimi legali di sicurezza sociale.
La tendenziale ed assai parziale estinzione alla sfera della previdenza complementare delle tecniche del coordinamento, avvenuta al fine di consentire la portabilità transfrontaliera delle posizioni maturate in tale ambito dai lavoratori europei, ha rappresentato senza dubbio un aggiornamento quanto mai indispensabile del sistema comunitario di tutela previdenziale della mobilità geografica dei lavoratori.
Va però rammentato che costituisce uno strumento largamente imperfetto, oltre che ampiamente inattuato.
In realtà, il terreno dove più intensi ed effettivi appaiono i progressi dell'integrazione comunitaria, è quello che coinvolge la dimensione precipuamente finanziaria della previdenza complementare.

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