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Titolo III della parte I del progetto di Trattato: le competenze dell'Unione Europea



Seguendo le linee generali già precedentemente adottate a riguardo dalla Dichiarazione di Laeken, la Convenzione europea ha ritenuto indispensabile dedicare il Titolo III della Parte I del Progetto alle competenze dell’Unione, ampliando così una materia che precedentemente era trattata, a livello generale, solo nell’ART.5 del TCE
La Bozza di trattato risponde a questa esigenza, offrendo due formulazioni alternative: la prima richiama semplicemente la disciplina del TCE, senza apportare alcuna innovazione, diversamente dalla seconda, che propone una dettagliata selezione categorica delle competenze.
Scegliendo la prima soluzione, l’ART.9, intitolato Principi fondamentali, esplica il principio generale di attribuzione delle competenze, che individua i poteri esclusivi dell’UE, in relazione all’ART.1 del Progetto, e fonda l’esercizio di dette competenze sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.
In particolare, il principio di sussidiarietà, ripreso nell’ART.9.3, è sancito come operante solo nei settori di competenza non esclusiva dell’UE: pertanto, «interviene soltanto e se nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri».
Sebbene la sua enunciazione non muti rispetto alla versione precedente, per la prima volta, è permesso allo Stato membro lasciare libero spazio alle proprie realtà locali e regionali, le quali richiedono sempre maggior autonomia.
Un’altra rilevante novità riguarda la procedura prevista dal PROTOCOLLO SULL’APPLICAZIONE DEI PRINCIPI DI SUSSIDIARIETÀ E PROPORZIONALITÀ circa il meccanismo di controllo con cui i Parlamenti nazionali ne vigilano il rispetto; nell’attuale sistema, infatti, gli stessi non hanno alcuna possibilità di denuncia della violazione del principio di sussidiarietà, se non nella misura in cui riescano a convincere il Governo ad impugnare successivamente l’atto presso la Corte di giustizia europea (PROCEDURA DI CONTROLLO SUCCESSIVO).
Il sopra menzionato Protocollo, al contrario, stabilisce la Procedura di allarme preventivo, con cui i Parlamenti nazionali sono inseriti a pieno titolo nella fase di formulazione dell’atto normativo.
In particolare, laddove la Commissione intenda attivare un procedimento legislativo nelle materie concorrenti, la stessa dovrà trasmettere il suo progetto motivato ai Parlamenti nazionali, oltre che al Consiglio dei ministri europeo e al PE, nel rispetto delle clausole dettate dalla sussidiarietà e dalla proporzionalità. A loro volta, detti organi dell’ordinamento legislativo interno, motivando la propria presa di posizione, dovranno indicare le eventuali ragioni per cui non condividono l’operazione in atto; in seguito, « qualora i pareri motivati sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà da parte della proposta della Commissione rappresentino almeno un terzo dell’insieme dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali degli Stati membri e alle camere dei parlamenti nazionali, la Commissione è tenuta a riesaminare la proposta».
La proposta di legge potrà essere mantenuta, modificata o ritirata dalla Commissione stessa, che, a sua volta, dovrà fornire un’adeguata motivazione alla propria decisione, spesso fortemente influenzata dal peso politico detenuto dai Paesi europei che si oppongono.
Nell’eventualità in cui l’iter di adozione legislativa proceda, gli Stati membri contrari, o il Comitato europeo delle Regioni, potranno ricorrere davanti alla Corte di giustizia europea, che esaminerà il testo normativo in questione, constatandone la conformità o meno ai principi di sussidiarietà e di adeguatezza. Senza dubbio, quest’ultima operazione giuridica si instaura nel sistema europeo come una verifica solo formale e secondaria, se si considera la priorità che, quasi sempre, la Corte stessa conferisce all’analisi di contenuto relativa alle ragioni espresse dalla Commissione europea.
Non si riscontra una sua innovativa definizione anche per il principio di proporzionalità, che si riafferma, quale cardine guida nell’azione delle istituzioni europee e degli Paesi appartenenti, entrambi incaricati di adottare strumenti e misure proporzionate agli obiettivi.
L’attività di controllo svolta da nuovi soggetti istituzionali sull’osservanza di questo principio, tuttavia, rappresenta nuovamente una delle più radicali novità contenute in questo Protocollo.
L’ART.10, a questo proposito, sancisce una netta distinzione tra ambito europeo e ambito degli Stati membri, investiti della funzione di dare esecuzione agli atti europei; non a caso, si assiste alla consacrazione formale del principio di prevalenza, che costituzionalizza il primato delle fonti comunitarie sul diritto interno ai singoli Stati, secondo una sua applicazione, che da sempre ha caratterizzato il contrasto dialettico tra la Corte di giustizia europea e la Corte costituzionale.
Il secondo comma stabilisce, invece, il principio di leale cooperazione, secondo cui spetta agli Stati membri il compito di adottare tutte le misure atte a dare esecuzione agli obblighi derivanti dalle norme della Costituzione o dagli atti adottati dall’UE.
Tuttavia, è l’ART.11 che, per la prima volta, individua le categorie delle competenze, formulando per ciascuna una precisa definizione e, nei successivi ARTT. 12 e 13, sono elencati gli specifici settori di loro attinenza.
Nell’ambito delle competenze esclusive, l’UE è l’unico soggetto giuridico legittimato a legiferare, mentre gli Stati, solo se espressamente autorizzati, possono assumere questo compito nel ruolo di sedi decentrate; in particolare, le materie in questione comprendono la definizione delle regole di concorrenza necessarie al buon funzionamento del mercato interno e ai settori economici della politica monetaria per gli Stati membri che hanno adottato l’euro, la regolamentazione della politica commerciale comune e dell’unione doganale, oltre alla disciplina della conservazione delle risorse biologiche del mare, nel quadro della politica comune della pesca. Infine, l’UE ha competenza esclusiva nella conclusione di accordi internazionali, nel caso siano previsti da un proprio atto legislativo o siano necessari all’esercizio delle competenze a livello interno (PRINCIPIO DEL PARALLELISMO DELLE COMPETENZE).
Le competenze concorrenti sono, invece, categorie residuali, per le quali sia l’UE sia gli Stati membri hanno la facoltà di legiferare; assai esteso è il campo della loro applicazione, che comprende i settori principali del mercato interno e numerosi ambiti dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (l’agricoltura e la pesca, fatta eccezione per la conservazione delle risorse biologiche del mare; i trasporti e le reti transeuropee; l’energia; la politica sociale, negli aspetti definiti nella Parte III; la coesione economica, sociale e territoriale; l’ambiente, la protezione dei consumatori ed i problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica).
Rientrano, infine, nella sfera delle competenze concorrenti, anche alcuni ambiti secondari, in materia di sviluppo e di occupazione, la cui comprensione deve essere integrata dalle misure di sostegno. Nel momento in cui l’Unione opera in questa ambito, infatti, l’ART.14 stabilisce che la sua attività può soltanto limitarsi al sostegno e al coordinamento o all’integrazione dell’azione degli Stati membri, evitando a priori la sostituzione delle loro competenze esclusive in materia.
In generale, sia le suddette misure di sostegno sia le cosiddette competenze atipiche (COORDINAMENTO DELLE POLITICHE ECONOMICHE E DELL’OCCUPAZIONE E POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE), non rientrano nell’ambito delle vere e proprie competenze, pur essendo elencate tra queste nell’ART.11, ma si istaurano nell’ordinamento europeo come criteri generali.
Passando in rassegna le seguenti norme, si denota che paradossalmente le competenze dell’UE si sono ampliate al secondo e terzo pilastro, proprio mentre si cercava di meglio identificarne i confini; questa anomalia ha indotto, quindi, ad adottare un criterio di genericità molto vago e a procedere con molta cautela nell’applicazione delle norme.
L’ART.16, disciplinando il COORDINAMENTO DELLE POLITICHE ECONOMICHE E DELL’OCCUPAZIONE, specifica che «gli Stati devono coordinarsi ai principi che provengono dal Consiglio»; perciò, sebbene la suddetta via di azione sia ancora prerogativa degli Stati, l’UE ha ora facoltà di intervenire, diversamente dal passato in cui la sua ingerenza si limitava alla sezione della politica monetaria.
A proposito della POLITICA ESTERA E DI SICUREZZA COMUNE, l’ART.11.4 afferma che «l’Unione europea ha competenza per la definizione e l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune compresa la definizione progressiva di una politica comune»; in questo modo, il testo del Trattato definisce una situazione che, di fatto, si realizzerà difficilmente, basti a tal proposito menzionare il mancato raggiungimento di una linea di condotta unitaria degli Stati membri riguardo alla questione irachena.
Da questo esempio si deduce che, contrariamente all’enunciato dell’ART.15.2, ha dimostrato che l’UE non detiene il controllo esclusivo della politica estera e che il suo effettivo ambito di azione, disciplinato dalla Parte III del Progetto, comprende pochissime materie.
Riepilogando, l’impianto declamatorio di questo dettato normativo ha comunque lo scopo di accelerare il processo di integrazione e coordinamento delle politiche estere.
Un altro aspetto molto importante é la previsione di una clausola di flessibilità, che permetta di allargare l’ambito dei poteri impliciti, o delle competenze complementari, definite dall’ART.308 TUE; la sua nuova formulazione, contenuta nell'ART.17, sancirebbe che, «se un’azione dell’UE appare necessaria, nelle politiche definite nella terza parte, per realizzare uno degli obiettivi previsti dalla Costituzione, senza che quest’ultima abbia previsto i poteri d’azione richiesti a tal fine, in questo caso il Consiglio, deliberando ad unanimità, su proposta della Commissione, adotta le disposizioni».
Un’innovazione significativa, che ancora una volta pone l’accento sul controllo preventivo delle proposte di legge da parte dei Parlamenti nazionali, si riferisce all’allargamento dei possibili settori della normativizzazione di sostegno a tutti gli obiettivi della Comunità, a differenza del precedente ART.308 che si limitava all’ambito del mercato.
La conseguente rettifica di questa clausola potrebbe prevedere un progetto non formalizzato di revisione del trattato istitutivo dell’Unione; a maggior ragione, il ruolo dei Parlamenti nazionali sarebbe valorizzato, se si considera la relativa esecuzione della procedura legislativa, quale frutto del possesso della sovranità degli Stati.
Interessante, infine, é notare che la competenza in certi settori è ripartita tra UE e Stati, allo scopo di assicurare un coordinamento intergovernativo, se la questione interessa più Stati membri, mentre, quando il problema é isolato all’interno di un singolo Stato, la soluzione è adottata, previo coordinamento dei soli organi costituzionali interni.

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