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Titolo IV della parte I del progetto di Trattato: Istituzione dell'Unione


Le maggior difficoltà affrontate dalla Convenzione hanno riguardato il riequilibrio delle istituzioni e la modifica delle loro relative competenze; lo scontro politico che ne è derivato ha portato all’elaborazione del Titolo IV della Parte I del Progetto di Trattato, frutto di un compromesso, nonostante le molte problematiche ancora aperte, dovuto al duplice sforzo di diminuire per quanto possibile le resistenze e di trovare un quadro che accontenti, e nello stesso tempo scontenti, un po’ tutti.
La prima questione, inerente l’individuazione delle istituzioni dell’Unione, è stata ampiamente risolta dall’ART.18, che fornisce un quadro istituzionale unico e, di conseguenza, abolisce la divisione tra le istituzioni comunitarie (Commissione europea e Corte di giustizia), e quelle rappresentative degli Stati, suddivise a loro volta in istituzioni principali (Parlamento europeo, Consiglio europeo, Consiglio dei ministri europeo e ministro degli affari esteri europeo) e complementari (Corte dei Conti e Banca centrale europea).
In particolare, l’ART.19 disciplina il Parlamento europeo sia nella sua composizione (il numero dei seggi attribuiti agli Stati è ulteriormente cambiato rispetto al precedente progetto di Nizza, mantenendo però lo stesso totale), sia nell’individuazione delle sue funzioni (non sussistono notevoli novità rispetto alla versione di Nizza, avendo confermato al PE la funzione di bilancio delle origini).
Si è cercato di attribuire a questo organo maggior peso anche in ambito legislativo e di assicurargli la partecipazione alla procedura di codecisione, in tutte le materie e congiuntamente al Consiglio dei ministri.
Il Consiglio europeo (ex ART.20), invece, con il suo inserimento nel TCE oltre che nel TUE, è stato riconosciuto un’istituzione dell’Unione a pieno titolo, avente funzione d’impulso al suo sviluppo e composta da una pluralità di membri (i Capi di Stato e di governo degli Stati membri, il presidente della Commissione e la nuova figura istituzionale del ministro degli affari esteri europeo).
Particolare attenzione merita la presidenza di quest’istituzione, cui è stata conferita una maggiore stabilità, in seguito all’elezione, a maggioranza qualificata, del suo presidente da parte del Consiglio stesso, per una durata in carica di due anni e mezzo (e non più semestrale a rotazione). L’unico limite riguarda l’impossibilità da parte di questo rappresentante di essere investito di una carica nazionale parallelamente al mandato comunitario, pur non specificando se sia possibile un’altra contemporanea nomina europea.
Le sue funzioni rappresentano l’esito del compromesso tra il presidente della Commissione e le burocrazie nazionali degli Esteri; il primo temeva che, attribuendo al presidente del Consiglio europeo un potere troppo ampio, soprattutto in materia di rappresentanza, la sua funzione diplomatica sarebbe venuta meno, mentre i secondi ritenevano che una figura troppo forte potesse contrastarli.
La soluzione giuridica intermedia è stata raggiunta con un moderato rafforzamento del potere del presidente, assegnandogli la facoltà di partecipare alla preparazione dei lavori del Consiglio, il compito di favorire il consenso all’interno dello stesso e, per acquietare il presidente della Commissione, la rappresentanza dell’Europa all’estero per la politica estera e di sicurezza comune, «fatte salve le responsabilità del ministro degli affari esteri dell’Unione» (ex ART.21.2); al contrario, per tutte le altre politiche dell’Unione, rimane titolare il presidente della Commissione.
La questione, in realtà, non è stata ancora risolta, perché questo equilibrio è così precario che la Convenzione stessa ha definito alcune modalità per il superamento di quest’instabilità, inserendo, su proposta del vicepresidente Amato, un’ulteriore clausola: dal 2008 in poi, infatti, una stessa persona giuridica potrà rivestire contemporaneamente la carica di presidente dell’Unione e della Commissione.
Il Consiglio dell’Unione è stato rinominato Consiglio dei ministri europeo, ex ART.22, con competenza legislativa e di bilancio, congiuntamente al PE; composto dai rappresentanti degli Stati a livello ministeriale, il Progetto ne prevede una divisione interna, ex ART.23, rispettivamente nel Consiglio degli Affari legislativi, con funzione di assicurare la coerenza dei lavori del Consiglio, e nel Consiglio degli Affari Esteri. Nel caso in cui il Consiglio stesso, decida che sia necessario, è prevista la possibilità di un’ulteriore ripartizione.
La Presidenza di quest’istituzione, ad eccezione del Consiglio degli Affari esteri, è esercitata sulla base del principio della rotazione paritaria di un anno.
Un grande problema attuale del Consiglio dei ministri è la sua composizione variabile e settoriale a seconda del tema da discutere, il che rende il processo decisionale più che mai squilibrato per gli interessi monotematici, fino ad arrivare ad una vera e propria tecnocrazia e ad una conseguente perdita della visione d’insieme.
Fino ad ora, il quadro d’insieme era garantito dal potere propositivo della Commissione, ma l’attuale settorializzazione del sistema ha portato a disfunzioni sempre più evidenti, poiché, nonostante questo istituto continui a svolgere la propria funzione ed il ruolo di decisore sia ancora affidato al Parlamento, insieme al Consiglio dei ministri, c’è chi pensa che quest’ultimo organo tenda a diventare una seconda camera, rendendo sempre più forte l’idea di creare, all’interno di un rafforzato Consiglio degli affari esteri, un ministro per l’Europa fisso per ogni Paese membro, accompagnato dai ministri di settore, allo scopo di recuperare la generalità di visione.
Questo ragionamento ha implicato due conseguenze; la prima consiste in una razionalizzazione a favore dell’Europa, la seconda in una concentrazione nel ministro dell’Europa della rappresentanza all’interno del sistema europeo.
Quest’ultimo effetto oggi è il motivo principale di tanta resistenza a questa soluzione, ma un primo passaggio in cui la Convenzione ha già ceduto è stato l’ipotesi dell’ennesimo gioco di equilibri, pensando di collocare due diverse funzioni in capo allo stesso consiglio: il ministro dell’Europa decide e partecipa al procedimento normativo, quando si riunisce come Consiglio degli affari legislativi e, secondariamente, lo stesso collegio, riunito come Consiglio degli affari generali, ha la competenza generica di accompagnare l’attività propositiva e di controllo della Commissione stessa.
La maggior parte delle decisioni del Consiglio dei ministri è adottata a maggioranza qualificata: in questo caso, i voti dei 15 ministri dei 15 Stati membri non sono comunemente "contati", ma sono "ponderati" in base alla clausola demografica introdotta da Nizza e la maggioranza da raggiungere è equivalente ai Paesi che rappresentano i tre/quinti della popolazione dell’Unione.
Finora il sistema ha ampiamente confermato che i paesi maggiori non possono mettere in minoranza i paesi più piccoli e viceversa, con la conseguenza di garantire alle decisioni, adottate a maggioranza qualificata, di fondarsi sul più ampio consenso possibile.
Il nuovo Progetto (ex ART.24), pur non modificando il metodo di votazione alla base, ha determinato il fallimento del criterio di ponderazione dei voti, vanificando l’opera degli Stati, quali Spagna e Portogallo, che con Nizza avevano ottenuto un maggior peso in termini di voto: dal 2009, quindi, la votazione sarà basata sulla maggioranza degli Stati membri e su quella del 60 per cento della popolazione complessiva.
La Commissione europea, ex ART.25, è da sempre considerata la “custode dei trattati”, poiché vigila sull’applicazione del diritto sotto il controllo della Corte di giustizia; inoltre, gestisce i programmi, ha l’importante potere d’iniziativa legislativa ed è il centro esecutivo dell’Unione.
La sua composizione, ex ART.26, ha subito un’ulteriore modifica, perché, mentre nell’attuale composizione sono previsti venti commissari, con il successivo trattato di Nizza si era giunti a prevedere un commissario per ogni Stato membro, con un massimo di ventisette; ora il Progetto modifica nuovamente la regola di composizione, riducendo il numero a quindici.
Tra questi sono presenti: il presidente della Commissione, eletto dal PE su proposta del Consiglio, il Vicepresidente della Commissione nella persona del ministro degli affari interni, tredici membri scelti in base ad un principio di rotazione paritario e alcuni membri senza diritto di voto.
Il ministro degli affari esteri, ex ART.27, senza dubbio, è la più grande novità istituzionale del Progetto, insieme alla Presidenza stabile del Consiglio europeo, cui è affidata la sua nomina a maggioranza qualificata, in accordo con il presidente della Commissione.
Bisogna tener conto che questa elezione non ricade su di loro in modo totalmente casuale, perché questo ministro parteciperà ai lavori del Consiglio europeo, sarà vicepresidente della Commissione ed entrerà a far parte della composizione del Consiglio dei ministri europeo.
Con questo rappresentante comune, il Progetto risponde a quanti chiedevano l’individuazione di una figura stabile in materia di politica estera, poiché il ministro degli affari esteri europei guida la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione ed, in seno all’istituzione della Commissione, «è incaricato delle relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione» (ex ART.27.3).
Nell’ambito della rappresentanza, quindi, il presidente della Commissione ha piena facoltà in tutte le materie diverse dalla politica estera, ma ha accanto un vicepresidente, il ministro degli affari esteri europeo, e risponde al Consiglio europeo, titolare di un potere di responsabilità.

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