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Il percorso regionale italiano per adire alla corte di giustizia e al tribunale di primo grado della comunitá europea


Con l’ART.5.2 della Legge “La Loggia”, si riconosce, per la prima volta, la possibilità alla Regione italiana di adire, anche se indirettamente, alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, contro quegli atti ritenuti illegittimi, in relazione ai canoni di legittimità dei trattati europei.
Nonostante attualmente non se ne siano ancora rilevate le prospettive future di interesse nazionale e regionale, la tematica ivi trattata è molto interessante, poiché, avendo la riforma del Titolo V ampliato la competenza legislativa delle Regioni, certamente le stesse andranno a scontrarsi con i vincoli imposti dalla legislazione europea.

Rispetto alle immediate posizioni trionfalistiche tenute dai costituzionalisti, tuttavia, le previsioni a questo proposito sono state ridimensionate, poiché l’interpretazione e la conseguente attuazione previa legislazione statale ordinaria hanno, di fatto, inciso in modo restrittivo sul potere normativo regionale.
Innanzitutto, per quanto concerne le materie dell’ART.117.3 Cost., le Regioni hanno competenza concorrente, il che significa che lo Stato ne fissa i principi generali da seguire. Considerando, ad esempio, le discipline concorrenti inerenti l’ordinamento delle comunicazioni e la produzione e distribuzione nazionale dell’energia, si evidenzia che lo spazio destinato ai legislatori regionali è ulteriormente circoscritto; basti menzionare l’istituzione di autorità indipendenti ad hoc, stimolata dalle direttive comunitarie che regolano questi specifici settori oppure le eventuali sentenze ridimensionanti della Corte Costituzionale.
Secondariamente, anche nell’ambito della competenza legislativa residuale (ex ART.117.4 Cost.), parallelamente ai vincoli comunitari, internazionali e costituzionali, in realtà, le Regioni devono rispettare anche l’ampliamento dei cosiddetti limiti trasversali (tutela della concorrenza, limiti circa le prestazioni essenziali relative ai diritti civili e sociali,…) dettati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Valutando la situazione da un punto di vista diverso, in ogni caso, questo ridimensionamento del campo di azione regionale, ad opera della Corte, sta offrendo un contributo essenziale in termini di un più lineare funzionamento del sistema italiano, nel tentativo di cogliere un punto di equilibrio e stabilità di poteri.
Nonostante questa premessa poco rassicurante, sicuramente il nuovo Titolo V ha valorizzato il ruolo istituzionale e legislativo delle Regioni, in concomitanza al successo ottenuto nel più ampio processo di integrazione europea, che origina dalla redazione del trattato costituzionale, approvato dalla Convenzione ed ora sotto l’attento esame della Conferenza intergovernativa.
Già nell’ART.3 di quest’ultimo, infatti si evidenzia, tra gli essenziali obiettivi politici della Comunità europea, l’attuazione di una coordinata e armoniosa coesione territoriale.
A questo proposito, la bozza definisce in modo innovativo il principio di sussidiarietà, includendo al suo interno anche i governi regionali e locali, come si deduce dalla seguente riformulazione: “nei settori in cui l’Unione non ha competenza esclusiva, può intervenire solo nella misura in cui gli obiettivi non possono esser perseguiti dagli Stati né a livello centrale, né a livello regionale e locale”.
Procedendo, poi, all’esame del protocollo sulla sussidiarietà annesso a questo progetto di trattato, la Commissione europea è stata ivi abilitata a consultare anche le dimensioni regionali e locali, prima di procedere alla proposta definitiva , traducendo su carta quanto già si verificava da anni previa ascolto di varie Associazioni regionali.
In particolare, è stabilito che, prima di agire, la Commissione europea debba realizzare un bilancio in ambito finanziario ed amministrativo, riscontrando, in proporzione agli obiettivi da perseguire, gli oneri che possano ricadere sull’Unione, sui Governi nazionali, ma anche  sui relativi enti territoriali.
Relativamente a questa tematica, altro punto interessante è la procedura di Early Worring, prevista dal progetto della Convenzione Europea, in relazione all’attento controllo dell’applicazione del principio di sussidiarietà e proporzionalità; secondo quest’istituto, s’invitano i Parlamenti nazionali a consultare periodicamente anche i Parlamenti regionali dotati di potere legislativo, evitando, in questo modo, che la legislazione nazionale incida troppo su quelle che sono le competenze dei livelli inferiori di legislazione.
Se in ambito di un controllo politico della sussidiarietà sono coinvolti solo formalmente i Parlamenti regionali, in realtà, per quanto concerne il controllo giudiziario, sono gli Stati che ricorrono, anche se il protocollo sostiene che questo possa avere luogo “a nome di un Parlamento nazionale dello Stato o di una Camera di detto Parlamento nazionale”.
È logico presumere che quest’invito sia rivolto a quei sistemi bicamerali, in cui una Camera è il centro tecnico di rappresentanza delle Regioni o di altri soggetti analoghi.
Il ricorso alla Corte di Giustizia a nome del Comitato delle Regioni, invece, non è ancora ben strutturato e, in ogni caso, non ancora richiesto esplicitamente dal sistema regionale italiano, poiché enumera nel suo complesso un’unione di circa 100000 entità territoriali, compresi i Comuni, di peso ed influenza così disparati da esser difficilmente rappresentabili da un unico organo istituzionale.
Considerando quanto finora descritto, sono state presentate più proposte in sede di Convenzione europea per far adire direttamente le Regioni alla Giustizia comunitaria, ma, come ha giustamente riportato il presidio della Convenzione, attualmente queste possono
richiedere un annullamento soltanto ai sensi dell’ART.230 del trattato comunitario; secondo questa normativa, le Regioni possono rivolgersi alla Corte europea quali soggetti privati, senza sostanzialmente essere ricorrenti privilegiati come gli Stati.
Nello stesso tempo, il Tribunale europeo di prima istanza ha annoverato, a più riprese, gli enti infrastatali, quali attori ivi ricorrenti direttamente ed individualmente nell’ambito propria sfera giuridica e a tutela dei propri interessi.
La prima tappa verso il trasferimento di detta facoltà alle Regioni ha avuto luogo in due sentenze del 1988, inerenti atti illegittimi della Regione fiamminga e della Comunità autonoma di Cantavia.,
Successivamente, a riconferma dell’atteggiamento permissivo tenuto dal Tribunale di primo grado, nel 1998, è stata emanata una sentenza, in cui era strettamente coinvolto il Friuli Venezia Giulia, cui la Commissione europea aveva opposto una sequela di condizioni di irricevibilità, in seguito invalidate dal giudizio.
La Regione, infatti, è stata ritenuta, anche in questo caso, un centro di interessi qualificato e diversificato rispetto allo Stato centrale, soprattutto perché aveva adottato gli atti valendosi della propria autonomia legislativa e giudiziaria, riconosciuta e tutelata dall’ordinamento costituzionale italiano.

Analizzando la riformata Costituzione italiana, nulla si disciplina circa l’eventualità di ricorso regionale alla Corte di Giustizia e al Tribunale di primo grado europei; dunque, la previsione contenuta nella Legge “La Loggia” trova il suo unico fondamento e presupposto nell’ART.117.3 Cost., che attribuisce la competenza legislativa concorrente alle Regioni, in materia di rapporti con l’Unione Europea.
In linea di massima, l’ART.5.2 della Legge “La Loggia” ha individuato due percorsi regionali differenti tra loro.  Nella prima eventualità, s’ipotizza una richiesta formalizzata, da parte di una Regione, al Governo; essendo il Governo costituzionalmente abilitato a ricorrere alla Corte di Giustizia, a quest’ultimo è affidata un’ampia discrezionalità sulla scelta del necessità di ricorso o meno.
La seconda eventualità prevede una proposta di ricorso alla Corte di Giustizia, approvata in sede di Conferenza Stato/Regioni dalla maggioranza assoluta delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano; in seguito ad un suo responso positivo, il Governo è tenuto obbligatoriamente a ricorrere.
Senza dubbio, questo comma ha determinato una soluzione in linea con quanto dispone il trattato comunitario e il progetto della Convenzione Europea: l’unica differenza sostanziale si riscontra nella mancata disciplina del seguito del processo di ricorso.
Per questo motivo, rimane irrisolta la scelta di quale soggetto istituzionale possa portar avanti la causa di fronte alla Corte di Giustizia; per tutelare anche gli interessi normativi regionali, si potrebbe prevedere una forma di coordinamento del Governo nazionale con le Regioni, così come nella fase ascendente dei tavoli di negoziazione sono presenti i rappresentanti regionali.
Secondariamente, nel caso in cui non sia rispettato l’obbligo di ricorso del Governo dettato dalla Conferenza Stato/Regioni, è ancora oscuro il rimedio istituzionale ad hoc; di sicuro, potrebbe delinearsi l’ipotesi di un conflitto Stato-Regioni da portare davanti alla Corte costituzionale, ma rimarrebbe incerta l’individuazione di quale soggetto istituzionale dovrebbe ricorrere: la metà più uno delle Regioni votanti o anche una sola?
Senza dubbio, la scelta non potrebbe mai cadere sulla Conferenza Stato/Regioni, perché quest’ultima è una parte del Governo ed il voto viene solo da parte delle Regioni. Inoltre, se questo accadesse, s’incorrerebbe in un conflitto tra poteri dello Stato, senza sapere in quale ambito preciso la Conferenza s’identifichi: forse è un’istituzione che realizza il principio di cooperazione, in ambiti in cui la Corte costituzionale si dibatte da lungo tempo?
Di conseguenza, per quanto sopra sostenuto, il ricorso dovrebbe esser effettuato da quelle Regioni che hanno approvato la richiesta di ricorso al Governo, in sede di Conferenza Stato/Regioni.
È interessante, invece, rilevare che il Disegno di Legge “Buttiglione” stabilisce un termine procedurale all’intervento della Corte di Giustizia, in quanto le Regioni sono tenute ad eseguire le sue pronunce, quando gli obblighi statali relativi alle sentenze riguardino materie di competenza delle Regioni o delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Si prevede, inoltre, che il presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le Politiche Comunitarie informi i diretti interessati, assegnando loro un termine per provvedere; in caso di inadempienza, la questione sarà posta all’esame della Conferenza Stato/Regioni, al fine di concordare le iniziative da assumere.

Tratto da LA GOVERNANCE TRA UNIONE EUROPEA E ITALIA di Luisa Agliassa
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