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Storia delle istituzioni comunitarie circa l’evoluzione del ruolo regionale nella fase ascendente


La prospettiva da cui analizzare il problema è quella definita dal Consiglio, configurato sin dall’inizio come un organo di Stati: con ciò, si fa riferimento ad uno dei capisaldi della teoria generale del diritto delle organizzazioni internazionali, che distingue tra organi di Stato ed organi di individui, a seconda della caratterizzazione degli interessi da tutelarsi.
Il Consiglio, dunque, nasce all’interno dell’ordinamento delle tre Comunità (UE, CEE, EURATOM) come organo di Stati, essendo stato il processo di integrazione europea affidato nella sua evoluzione all’iniziativa degli Stati, medianti trattati istitutivi.
In questo senso, assume una posizione centrale la ricorrente tematica della sovranità, che porta ad una concezione di matrice statalistica, poiché nel suo ambito non c’è spazio, almeno alle origini, per la presenza di diverse realtà istituzionali a livello substatale.
Dunque, la Comunità Europea nasce come organizzazione internazionale di Stati sovrani, quantunque dotati, sin dalle origini, dei loro connotati progressivi di integrazione sovranazionale nel tempo. In ogni caso, resta tutt’ora incerta la definizione dell’Unione Europea quale “comunità sui generis”, che, mai come in quest’ambito, è appropriata.
Tuttavia, la presenza di Stati federali e di ordinamenti caratterizzati da sistemi di ampie autonomie di enti territoriali inferiori ha determinato una rivoluzione, il cui il prodotto più significativo è stato il Comitato delle Regioni; detta istituzione, se pur prettamente di funzione limitatamente consultiva in ambito regionale, si è accompagnata alla riformulazione dell’attuale ART.203, relativo alla composizione del Consiglio.
Un tempo, nel suo contenuto si trattava di una composizione di rappresentanti degli Stati membri, la cui dizione aveva poi portato ad un’interessante evoluzione, caratterizzata da due fasi essenziali; la prima ha comportato un’espansione di questa locuzione verso l’alto, legittimando le prime iniziative di cooperazione ad un più alto livello decisionale governativo e coinvolgendo anche i capi di Governo.
Il ragionamento dottrinale di base giungeva alla conclusione che, citando il trattato i rappresentanti di Governo degli Stati membri, nulla si toglieva al fatto che il Governo potesse esser rappresentato dal massimo degli esponenti del Governo stesso; quindi, diventava sostanzialmente irrilevante in una lettura letterale della norma il dibattito giurisprudenziale, per cui si disquisiva se il Consiglio nascente, quale vertice dei capi di Stato di Governo, fosse dentro o fuori o sopra l’assetto istituzionale comunitario
Attualmente, invece, si è in una fase in cui l’espansione della norma avviene verso il basso e la nuova formulazione dell’ART.203, dopo l’entrata in vigore del trattato di Nizza, sembra proprio dare spazio a questa interpretazione, non necessitando più di un’espansione verso l’alto, perché ormai il Consiglio Europeo ha assunto una propria dimensione nell’apparato organico dell’Unione, essendo “formato da un rappresentante di ciascun Stato membro a livello ministeriale, abilitato ad impegnare il Governo di detto Stato membro”.
La precisazione “a livello ministeriale” nella prassi ha consentito una lettura molto più estesa: il Ministro, infatti, può esser rappresentato da un sottosegretario, ma anche, in molti casi, dall’alto funzionario del Ministero degli Esteri, dal Segretario generale degli Interni, dal Segretario generale dei trattati economici.
In tal modo, la lettura lascia molto più spazio all’interpretazione degli ordinamenti costituzionali, purché, a livello internazionale, lo Stato sia rappresentato da qualcuno abilitato ad impegnarlo.
Il Consiglio, allora, nasce con connotati tipici, è organo di Stati, cioè di Governi, non è portatore di valori e modelli, che sono alle origini affidati ad altre istituzioni; si pensi, ad esempio, alla Commissione, portatrice del metodo comunitario dell’azione funzionalista o al Parlamento Europeo, che voleva essere l’espressione di una partecipazione dei popoli degli Stati membri della Comunità.
Quindi, nel Consiglio ciascun Governo occupa un seggio ed esprime, in sede di votazione a maggioranza qualificata, un voto ponderato. Gli Stati federali hanno, comunque, messo in luce nuove problematiche: ad esempio, un länd della Germania, dotato di competenza legislativa, fece polemicamente notare la sproporzione evidente (con forte eco sui quotidiani tedeschi) per cui al länd non era attribuita alcuna rilevanza nella fase decisionale, mentre al Lussemburgo erano assegnati ben due voti in sede di ponderazione.
Il progetto elaborato dalla Convenzione riprende, a questo proposito, la formulazione introdotta dal Trattato di Nizza, seppure in modo alquanto contraddittorio: nell’ART.1.22, dedicato al Consiglio (dei Ministri, in questo caso e per la prima volta), si afferma che “è composto da un rappresentante nominato da ciascun Stato membro a livello ministeriale per ciascuna delle sue formazioni. Tale rappresentante è il solo abilitato ad impegnare lo Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto”.
In quest’ultima affermazione, si adombra il fatto che, in realtà, la delegazione governativa è assai più nutrita, poiché nella delegazione di ogni singolo Stato spesso trovano spazio degli elementi che non rientrano necessariamente nell’unità della compagine ministeriale, per esempio con la presenza addirittura possibile ex Legge “La Loggia” di un Presidente di Regione: questo il motivo per cui si enfatizza questo aspetto.
La norma successiva all’ART.203 contiene, invece, una stranezza: “Nell’esercizio della sua funzione legislativa, il Consiglio delibera…in questa funzione, la rappresentanza di ciascuno Stato membro comprende uno o due rappresentanti a livello ministeriale, dotati delle adeguate competenze”.
Ma, se l’articolo prima n citava uno, da dove deriva il secondo? Si lascia aperto il problema ai costituzionalisti di ogni ordinamento interno.
Infine, il Comitato delle Regioni è un organo esclusivamente consultivo composto dai rappresentanti delle collettività regionali e locali, caratteristica confermata dall’ART.263 ed ulteriormente ripresa nella bozza della Convenzione. Il Trattato di Nizza ha poi elaborato un’evoluzione normativa, relativa all’individuazione dei suoi membri, opportunamente omessa dalla bozza di Trattato costituzionale e rinviata in alcuni punti alla seconda parte.
L’unico aspetto, per certi versi interessante, si riscontra nella nuova norma che prevede chi “in conformità dello stesso articolo della Costituzione (competenza a conoscere i ricorsi da parte della Corte di Giustizia) tali ricorsi possono esser proposti anche dal Comitato delle Regioni”; quindi, l’ordinamento comunitario si mostra favorevole ad un’interessante estensione di poteri in mano ad un organo esclusivamente consultivo, perché non è frequente, nell’ordinamento di un’organizzazione internazionale, che un organo esclusivamente abilitato ad offrire i suoi pareri, quali atti normativi non vincolanti, sia abilitato ad un ricorso di fronte ad una Corte di Giustizia.

Tratto da LA GOVERNANCE TRA UNIONE EUROPEA E ITALIA di Luisa Agliassa
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