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I nuovi problemi e le prospettive della tutela cautelare


Il legislatore è intervenuto più volte in passato con disposizioni speciali sulla tutela cautelare nel processo amministrativo.
I suoi interventi sono stati diretti in genere a ridurre il pericolo che le misure cautelari potessero paralizzare l’azione amministrativa, ritardando la realizzazione di interventi importanti (soprattutto nel settore degli appalti pubblici) o pregiudicando altri interessi di rilievo della comunità.
L’esigenza di accelerare la conclusione del processo amministrativo ha indotto il legislatore a valorizzare anche il momento della verifica, da parte del giudice, del “fumus boni iuris” nella fase cautelare del giudizio.
In molte occasioni, il giudice al momento della pronuncia dell’istanza cautelare dispone già di tutti gli elementi necessari per decidere la vertenza.
La l. 205/2000 ha considerato entrambe le esigenze: sia quella di accelerare la conclusione del giudizio, quando sia stata chiesta una misura cautelare in vertenze di particolare rilievo generale, sia quella di consentire, in taluni casi, l’anticipazione della sentenza alla fase cautelare.
In particolare, la l. 205/2000, dispone che il giudice amministrativo può decidere il ricorso (con “sentenza succintamente motivata”) nella camera di consiglio fissata per l’esame della istanza cautelare, ogniqualvolta riscontri “la manifesta fondatezza, ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso”.
Di conseguenza, non deve essere necessaria alcuna ulteriore indagine istruttoria.
Inoltre, l’anticipazione della decisione alla fase cautelare richiede sempre la verifica della completezza del contraddittorio.
Per quando riguarda, invece, la tutela cautelare in vertenze di particolare interesse generale, la disciplina comporta che se sia stata presentata un’istanza cautelare, il giudice amministrativo, di regola, se riscontra gli estremi per il suo accoglimento, non adotti alcuna misura cautelare, ma fissi l’udienza di discussione del ricorso in modo che si tenga a breve scadenza (deve essere la prima udienza utile, decorsi 30 giorni).
Solo “in caso di estrema gravità e urgenza” il giudice adotta la misura cautelare del caso.
Se, nelle vertenze sulle stesse materie, l’istanza cautelare è respinta dal Tar e viene proposto appello contro l’ordinanza di rigetto, il Consiglio di Stato che accolga il gravame non adotta di regola una misura cautelare (fatta salva l’ipotesi “di estrema gravità e urgenza”) ma rimette gli atti al Tar, che deve subito fissare nei termini prescritti l’udienza di discussione del ricorso.
Il legislatore, in questo modo, ha delineato un equilibrio fra le opposte esigenze di evitare i gravi pregiudizi alla collettività che potrebbero conseguire da certi interventi cautelari e di assicurare comunque una tutela tempestiva per il cittadino.
Non pare, invece, che l’equilibrio sia garantito dalla disciplina dettata per la tutela cautelare nelle controversie relative alle procedure per particolari infrastrutture e insediamenti produttivi.
In questo caso è imposto al giudice amministrativo, ai fini della pronuncia cautelare, di prendere in considerazione il “preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera”.
Se la norma venisse applicata alla lettera, la misura cautelare, in linea pratica, non dovrebbe mai essere concessa, perché dovrebbe sempre prevalere l’interesse all’esecuzione del provvedimento impugnato.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
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