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L'archivio come luogo di conservazione

L'archivio come luogo di conservazione


È tra gli ultimi decenni del 700 e i primi dell’800 che si formano i primi embrionali archetipi di istituti archivistici quali oggi li intendiamo. L’archivio è la naturale sedimentazione di un’attività di gestione, pratica, giuridica, amministrativa; è il complesso dei documenti elaborati, ricevuti o comunque acquisiti per finalità pratiche o giuridiche da una persona fisica o un ente pubblico o privato, in rapporto agli scopi perseguiti.
Precedentemente gli archivi erano stati considerati soprattutto memoria-autodocumentazione a disposizione di chi li aveva prodotti, quindi produzione, conservazione ed uso erano stati aspetti strettamente collegati all’interno del processo scrittura-redazione e circolazione della documentazione archivistica. Ma a cavallo dei secoli XVIII-XIX si delinea una rottura tra produzione, uso (prevalentemente pratico amministrativo) e conservazione; si formano dunque luoghi istituti di conservazione, distinti da luoghi-uffici di produzione, pertanto alla documentazione viene attribuito un significato più ampio: non solo memoria auto documentazione, ma anche memoria-fonte, a disposizione di chi, estraneo al processo di produzione, aveva un qualsiasi interesse a conoscerla e utilizzarla; dunque, per quel che riguarda l’uso degli archivi, si afferma il principio della pubblicità di contro il principio della segretezza. Nella documentazione archivistica, nel momento in cui è posta in essere, ritroviamo due significati: uno pratico-amministrativo, uno storico- culturale. Un momento cruciale per la storia degli archivi è stata l’unità d’Italia; nell’immediato periodo post unitario furono istituiti, soprattutto nelle città ex capitali di stato, appositi istituti di conservazione, fino a prevedere un archivio centrale di stato, un archivio di stato in ogni capoluogo, e un congruo numero di sezioni d’archivio all’interno di territori provinciali.

Tratto da GLI ARCHIVI TRA PASSATO E PRESENTE di Alessia Muliere
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