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Gottfried Wilhelm Leibniz

Universalità e molteplicità
Grande filosofo e matematico, Leibniz cerca di correggere le concezioni meccanicistiche della natura attraverso una visione finalistica dell'universo: le forze che costituiscono gli esseri ed i fenomeni hanno una loro specifica determinazione fisica ma esse scaturiscono tutte dalla divinità e sono dirette verso fini progressivamente più qualitativi. L'universalismo di Leibniz non si presenta come un monismo, non fa riferimento ad una sostanza onnicomprensiva e monolitica: l'idea della molteplicità, della composizione, dell'aggregazione, della conciliazione dei contrari soppianta in lui quella dell'omogeneità e dell'uniformità. Come in matematica è interessato al calcolo degli infinitesimali, così nell'etica e nella politica egli si rivolge alla scoperta ed alla valorizzazione degli individuali. Nella sua opera La monadologia Leibniz sostiene che vi sono tante "sostanze semplici" (monadi) quanti sono gli esseri reali della vita e cioè gli individui; il rispetto delle individuazioni e delle particolarità personali non preclude, tuttavia, una costante tensione verso l'armonia universale. Ciascun individuo vuole essere distinto ma non vuole essere radicalmente diviso dai suoi simili e si sente, perciò, animato da una tensione che lo rende partecipe del destino comune dell'umanità. La vocazione di Leibniz è di mediare le differenze attraverso sintesi aperte e pluralistiche, in cui le parti scoprano le loro originarietà ma anche le loro reciproche compatibilità e possibilità d'intesa e di collaborazione. E' il filosofo dell'armonia prestabilita dell'universo, un'armonia non da trasferire in un mondo immaginario ma da percepire in ogni atto significativo della vita esistenziale. Egli pensa che il mondo possa essere visto attraverso prospettive diverse in grado, però, di raccordarsi, comunicare e convergere. E' vantaggioso che tutti profittino vicendevolmente delle differenze che la natura stabilisce fra gli individui ma tutti devono riconoscersi membri di una più ampia comunità che tendenzialmente comprende tutta l'umanità e che continuamente aspira a perfezionarsi. Leibniz affronta il problema dell'universale facendo riferimento ai singoli esistenti ma questa sostanza infinitesima che è l'uomo nasconde per lui una potenzialità di infinito, che è una potenzialità di libertà. Nell'individuale non c'è solo il particolare bensì c'è appunto una tensione universale che fa comprendere a ciascuno di non essere solo nel mondo; il mondo è un insieme di monadi, nel senso che ciascun individuo è chiuso nella sua situazione esistenziale e risente della propria originaria determinazione. Ciascuna monade, però, non è una particella insignificante: in ogni monade individuale c'è un'attitudine spirituale che la spinge a trovare un suo posto in un ordine generale. Il dato fondamentale del reale è l'individuo ma l'individualità non è per Leibniz matrice di corruzione, di violenza e di prevaricazione. Le monadi, cioè le individualità, sono originate da Dio come emanazioni e irradiazioni multiple dell'unica forza divina perché Dio vede il mondo da un'infinità di punti diversi e, nella creazione del mondo, Egli li ha realizzati tutti e ha fatto corrispondere a ciascuno di essi una soggettività. Le monadi non sono buttate a caso nella vita ed i loro rapporti non si fondano solo su leggi probabilistiche: esse sono ordinate in modo armonico e questa armonia, prestabilita da Dio, usufruisce sempre della sua garanzia. La moltitudine di parti differenziate, proprio perché creazione di Dio, non è priva di interni collegamenti: c'è in ogni monade, in ogni vita individuale, anche la possibilità di sapersi collocare deliberatamente nella prospettiva altrui e di comprendere qual è il posto che ciascuno (con i limiti ma anche con i valori della sua personalità irripetibile) può avere all'interno di un'armonia universale. Dio ha dotato ogni essere di una forza spirituale che sollecita a progressive acquisizioni di consapevolezze critiche e morali. Lo scetticismo sulle sorti del mondo non ha dunque un valido fondamento perché Dio ha cercato la soluzione adatta ai compiti che il mondo può perseguire; Egli ha scelto il migliore dei mondi possibili, che l'uomo può conoscere e valorizzare se riesce a liberarsi dalla sua opacità esistenziale, ad aprirsi ad altri punti di vista ed a comprendere che procurare agli altri il bene costituisce il nostro stesso bene.

Giustizia, utilità ed amore
La politica, come il diritto, deve proporsi come scienza del giusto. Per Leibniz giustizia ed utilità non rappresentano radicali alternative di valori; sarebbe assurdo cercare la giustizia imponendo agli individui il sacrificio di se stessi e la rinuncia a tutto ciò che è loro conveniente. Secondo Leibniz le nostre realizzazioni valgono se includono la giustizia verso il prossimo; se, al contrario, l'utile viene risolto nell'egoismo, esso ci preclude la nostra stessa felicità, non dissociabile da quella dei nostri simili. Il rispetto degli altri è una condizione indispensabile del nostro essere e del nostro divenire: è questo il precetto della giustizia ed insieme dell'utilità. Giustizia ed utilità, però, non rivelano la loro intima positività e non trovano il loro compimento se non attraverso l'amore. Volere il bene altrui per se stesso "significa amare gli altri" e, perciò, "la natura della giustizia è l'amore"; si accresce la felicità propria accrescendo la felicità di tutti. Ogni qualvolta siamo al cospetto di un altro uomo non possiamo sfuggire a questa alternativa: o aprirci ad un sentimento benefico di solidarietà che esalta il valore della personalità o ostinarci in azioni di prevaricazione che provocano contraddizione ed alienazione. Pertanto mai trattare gli uomini come cose: ogni riduzione dell'uomo a cosa è il modo più sicuro per la degenerazione morale e sociale. Non bisogna, d'altronde, ridurre l'amore del prossimo all'amore esclusivo per chi ci sta più vicino: il prossimo non è da calcolare solo in relazione alla prossimità fisica ed a ciò che a noi è legato da più stretti interessi materiali o spirituali ma deve comprendere l'intero genere umano. Ogni individuo consapevole deve, perciò, comportarsi come cittadino del mondo, pronto a sentire in ogni rapporto con gli altri la concreta determinazione del valore universale dell'amore.

Le forme del diritto

Nell'organizzazione sociale sussistono per Leibniz tre forme di diritto: 1) diritto di proprietà: è connesso ad un'attività di appropriazione con la quale l'uomo entra in rapporto con le cose ed imprime ad esse la propria volontà. Per quanto necessaria sia la proprietà, essa rappresenta tuttavia "il più basso grado del diritto", così come il grado più basso dell'amore. E' difficile, d'altra parte, esercitare diritti sulle cose senza urtare altri uomini: se le cose fossero di nessuno, ognuno potrebbe appropriarsene a suo arbitrio ma intorno alle cose ci sono altri uomini ed ogni nostro rapporto con le cose non è perciò indifferente, neutrale, innocuo nei loro confronti. Il diritto di proprietà va pertanto corretto e controllato dal diritto di società o comunità; 2) diritto di società o comunità: è il diritto attraverso il quale l'esistenza diventa coesistenza, il rapporto con la cosa diventa rapporto con altri esseri umani e, attraverso il quale, viene limitata "la libertà d'amministrazione privata"; 3) diritto interiore o della carità: stabilisce fra gli uomini una specie di repubblica delle anime, una condizione di planetaria concordia spirituale. Una volta che lo stato si è costituito, bisogna esaminare fin dove ai privati compete la libera disponibilità delle loro proprietà, fin dove può estendersi il criterio e la pratica della giustizia commutativa (di quella giustizia, cioè, che regola le transazioni fra le parti ed il trasferimento dei loro beni) e da qual punto debbano subentrare nella società anche dei criteri di giustizia distributiva che si occupino più specificamente dei modi con cui la proprietà è stata acquisita, della distribuzione di queste proprietà e dei vantaggi o degli svantaggi che a ciascuno derivano dalla sua appartenenza ad una determinata condizione sociale. Vi sono dunque nell'organizzazione politica due tipi di giustizia: 1) commutativa: disciplina le transazioni private; 2) distributiva: attraverso di essa i magistrati tolgono alla proprietà la sua assolutezza per consentire un'estensione dell'equità. A queste due giustizie si aggiunge quel diritto della pietà che interpreta le varie forme del diritto e della giustizia nel senso più favorevole alla virtù universale ed ai valori essenziali dell'umanità.

Lo stato ed il benessere
Il problema della politica è per Leibniz di impegnarsi affinchè le cose che possono nuocere o giovare agli uomini siano proporzionate in modo da procurare la massima perfezione possibile della società in una determinata situazione storica. Da questa impostazione di Leibniz potrebbero derivare conseguenze di vasta portata innovativa, che egli stesso, d'altronde, valuta con senso critico. Si potrebbe presumere che, applicato agli affari pubblici, il valore dell'amore riesca ad agire da principio di moltiplicazione dei beni e dei vantaggi, dando così risalto alla positività di regimi politici comunitari o socialisti. In uno stato perfetto, ammette Leibniz, ogni bene dovrebbe essere di proprietà pubblica e venire pubblicamente distribuito ai privati ma se i cittadini dovessero ricevere tutto dallo stato, ciò provocherebbe, nelle condizioni attuali, un indebolimento delle energie sociali ed una diminuzione delle risorse. D'altra parte questa comunità integrale non riuscirebbe a trovare amministratori giusti e solerti verso il pubblico bene perché gli uomini spesso abusano dell'autorità che è stata loro affidata e la trasformano in prepotenza. E'meglio quindi lasciare a ciascuno la libertà di provvedere a se stesso, evitando di affidare allo stato il compito immane di badare ai singoli individui perché lo stato non è così perfezionato da poter assolvere positivamente a questo compito. Spetta tuttavia al governo fare in modo che nessun uomo mandi in rovina se stesso e gli altri, favorendo l'industria con pubblici incoraggiamenti e disciplinandola con pubblici controlli. La politica deve evitare che ogni società particolare si chiuda in se stessa e che calcoli solo in relazione a tale sua delimitazione le proprie misure di moralità e di giustizia. In coerenza con il suo riconoscimento della specificità ed originalità, Leibniz riconosce la positività delle competizioni sociali che di continuo risvegliano energie sopite e creano stimoli produttivi ma egli fa anche valere l'esigenza di un interventismo statale o comunitario per ripartire più equamente le risorse necessarie alla vita. Se non si riscontrano in Leibniz espliciti elementi democratici, c'è nel suo pensiero l'idea di una specie di dispotismo illuminato, impegnato a garantire alla società condizioni più giuste di vita e di lavoro produttivo. Pur essendo uno spirito profondamente religioso, egli riconosce che le chiese e gli ospizi non possono fare per il bene del popolo ciò che possono fare "degli stabilimenti di produzione ben organizzati"; lo stato deve perciò prendersi cura del benessere dei cittadini, occupandosi di manifatture, di agricoltura, di artigianato, di educazione, di ricerca scientifica e deve "redimere l'operaio dalla sua miseria" perché la miseria è sempre cattiva consigliera per i singoli ed espone la collettività a tutte le insidie. In questo interventismo politico delineato da Leibniz si è vista una confluenza di elementi statalistici con certi elementi di germanesimo ma è più corretta quella interpretazione critica che fa di Leibniz un genio universale, assertore di una idea di umanità senza barriere oppressive e senza contrapposizioni nazionali, aperta alla progressiva perfettibilità degli individui e delle loro comunità.

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