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Dell'elemento soggettivo del reato


Domat, utilizzando per l'ennesima volta la distinzione tra religione e politica, tende a riservare alla prima l'indagine moralistica dell'interiorità dell'individuo, mentre alla seconda gli eventi e le circostanze, che accompagnano il crimine che hanno primaria rilevanza per la costituzione della colpevolezza.
Naturalmente, può apparire ingiusto che due persone, le quali in una rissa abbiano sferrato un colpo col medesimo intento, siano punite diversamente a seconda se abbiano ucciso o solamente ferito, ma il diritto penale deve tener conto in via prioritaria del turbamento dell'ordine pubblico prodotto dal crimine e del fatto che è talora impossibile determinare qual è stata l'autentica intenzione che ha mosso il reo.
Al tempo stesso, però, Domat precisa che possono esistere crimini senza che il compimento vero e proprio dell'azione delittuosa sia avvenuto, allorché un impulso criminale abbia comunque prodotto dei segni esteriori che hanno svelato il carattere socialmente pericoloso di colui che ha posto in essere tali segni; quindi, è innovativo la sua concezione di diritto penale, che vada oltre la mera risposta a singole azioni criminose, pur sempre rispettando la separazione garantistica interno/esterno.

Tratto da LA TEORIA CRIMINALISTA DI JEAN DOMAT di Luisa Agliassa
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