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La verità come pericolo - Vattimo -



È vero che, una volta preso atto che non ci sono verità assolute ma solo interpretazioni, molti autoritarismi vengono smascherati per quello che sono, cioè pretese di imporci comportamenti che non condividiamo in nome di una qualche legge di natura, essenza dell’uomo, tradizione intoccabile, rivelazione divina, ecc. Se uno mi dice “sii uomo” in genere vuole farmi dare qualcosa che non voglio fare: andare in guerra, accettare di sacrificare il mio interesse e le mie spesso legittime aspettative di felicità, ecc. Come diceva Wittgenstein, la filosofia ci libera dagli idoli (ovvero i pregiudizi e viene ripreso da un altro filosofo che si chiama Bacone) e può solo far questo.
A questo punto, dato che la verità è sempre un fatto interpretativo, il criterio supremo a cui ispirarsi non è la corrispondenza puntuale dell’enunciato alle cose, ma il consenso sui presupposti da cui si parte per valutare questa corrispondenza. Nessuno dice mai tutta la verità, solo la verità. Qualunque enunciato suppone una scelta di ciò che ci appare rilevante, e questa scelta non è mai disinteressata. Anche gli scienziati che si sforzano di mettere fuori gioco, nel loro lavoro, le preferenze, le inclinazioni, gli interessi privati cercano oggettività per poter raggiungere risultati che possano essere ripetuti e così utilizzati in futuro. Magari cercano solo di vincere il premio Nobel e anche questo è un interesse.
La conclusione a cui Vattimo vuole giungere è che la verità, come assoluta corrispondenza oggettiva, intesa come valore di base, è più un pericolo che non un valore. La verità della politica per di più è da cercare nella costruzione di un consenso e di un’amicizia civile che rendono possibile la verità come descrittiva. Le epoche in cui si è creduto di poter fondare la politica sulle verità sono epoche di grande coesione sociale, di tradizioni condivise ma anche di disciplina autoritaria vista dall’alto.
La verità apparirà sempre diversa fino a che non si sarà costituito un orizzonte comune, appunto il consenso intorno a quei criteri impliciti da cui dipende ogni verifica di singole proposizioni.
Si pensi poi all’idea che il politico può mentire per il bene dello Stato. Questa ipocrisia va condannata non perché ammette la bugia violando il valore assoluto della verità come corrispondenza, ma perché viola il legame sociale con l’altro e va contro l’uguaglianza e la libertà di tutti.
Si potrebbe osservare che la libertà è anche la capacità di proporre una verità contraria all’opinione comune. Così per esempio la intende Hannah Arendt (filosofa tedesca, ebrea, allieva di Heidegger) negli appunti del suo diario scritto negli stessi anni del processo Eichmann (generale del SS, che subì il processo a Gerusalemme a cui Arendt assistette). Scrive Arendt: “La verità non si accerta per mezzo di una votazione. Anche la verità di fatto, non soltanto quella razionale, concerne l’uomo nella sua singolarità. Chi, in un contrasto di opinioni, afferma di possedere la verità, esprime una pretesa di dominio”.

Tratto da LE CORRENTI DI PENSIERO CONTEMPORANEE di Gabriella Galbiati
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