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L'ottava strofa - L'Assenza di Gozzano -


La soddisfazione allucinatoria connessa alla fantasia orale – distruttiva del martin pescatore è così repentina e sconvolgente che allo stesso poeta sfuggono le cause della sua stupefazione, e gli è impossibile riconoscere l'oggetto del suo desiderio, mosso dalla pulsione di appropriazione, e distruttivo, al limite, di sé e dell'oggetto. Lo stupore e l'attonimento dei versi finali rendono lo stato d'animo di chi ha intravisto nel giardino della propria vita, nellp spazio e nel tempo perduti dell'infanzia, i segni della propria oralità cannibalica, e scopre, nella chiusura narcisistica, l'alienazione di sé al mondo, alle cose, persino ai fiori dell'universo materno – infantile: Stupito di che? Delle cose. / I fiori mi paiono strani: Come già per la tristezza, la terza riproposizione dello stupore denunzia l'intensità dello sgomento di fronte al trauma originario della separazione, alla scoperta che andando sempre più indietro verso l'infanzia remotissima, si approfondisce il sentimento dell'estraneità al mondo. Ma allo sradicamento e alla perdita si oppone un moto di recupero di quegli oggetti buoni che significano la donna e il suo mondo:  ci sono pur sempre le rose, / ci sono pur sempre i gerani...
In quanto significanti del desiderio proibito orientato sulla madre, i fiori possono essere rifiutati, sentiti estranei ed ostili, ma essi sono pure, per la ragione e il sentimento, i segni visibili e rassicuranti che delimitano lo spazio abitato dalla donna amata, e perciò gli oggetti buoni che il poeta può sempre ritrovare dentro di sé. Le rose e i gerani che si dispongono nel parallelismo – identità dei due ultimi versi iscrivono nel giardino chiuso e triste di chi si è sentito un bambino abbandonato il segnale di un bisogno di riparazione di sé e dell'oggetto.
Così l'affermazione compensativa “ci sono pur sempre..:” mentre sottintende a monte la pulsione di morte, restaura le rose dell'infanzia e i gerani a cui abbiamo visto connettersi le fantasie relative alla prima zona erogena, la bocca. Ma si tratta di una riparazione imperfetta, magica, affidata al linguaggio, alla formula ripetitoria, e per ciò ancora sostanzialmente regressiva, non fondata sull'accettazione dell'assenza, necessaria perché chi resta impari a conoscere la realtà, a non sentirsi abbandonato e sradicato dal mondo. Di là dal loro stesso valore semantico, i due versi finali, nella loro quasi totale identità di significanti e significati, attestano ancora un desiderio radicalmente narcisistico di identificazione, di con – fusione, la nostalgia di un ritrovamento di sé/ dell'altro  che coinciderebbe infne con l'abolizione di ogni differenza, e in conclusione con il punto zero della pagina bianca.

Tratto da LETTERATURA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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