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Principali posizioni sul principio di individuazione

Tra i filosofi dedicatisi a questo problema uno dei più importanti fu Avicenna. La soluzione da lui adottata è quella aristotelica:
- la “materia” è il “principio di individuazione” perché, se la sostanza comune esiste solo nella mente (come concetto), allora essa diventa un individuo (ovvero un esistente particolare) solo nel suo essere materiale.
Nel mondo cristiano, il problema è stato affrontato innanzitutto da Agostino, il quale ha capovolto la soluzione aristotelica, dando inizio a un nuovo filone interpretativo:
- la “forma” è il “principio di individuazione”, poiché ogni individuo ha una forma particolare, mentre la materia è un elemento comune a tutti gli individui.
Molti secoli dopo, Tommaso d’Aquino intervenne nella disputa inserendosi nel filone aristotelico. Apportò, tuttavia, alcune modifiche alla posizione del filosofo greco:
- la “materia” è il “principio di individuazione”, ma non la materia comune a tutti gli individui, bensì la materia signata, ovvero la materia determinata dalle categorie di spazio e tempo.
Giovanni Duns Scoto si distaccherà invece da entrambi questi filoni:
- il “principio di individuazione” non è né nella “forma”, né nella “materia”, né nel loro “composto”, ma nell’haecceitas (dal lat. "haec", sottinteso "res", ovvero letteralmente "questa cosa"), ossia nella "questità", nell'essere una determinata cosa, come "questa e non altra", in un dato spazio-tempo. L'haecceitas è il limite che la ragione non può esplorare: la filosofia arriva a determinare l'individuazione come principio, ma non può indagare razionalmente il singolo individuo. L'haecceitas è un perfezionamento della sostanza comune. Dunque l’esistenza non è altro che il perfezionamento dell’essenza.
Con Guglielmo di Ockham il problema del principio di individualizzazione si dissolverà completamente:
- l’essere è già individualizzato, si dà solo nella sua forma individuale e non in quella generale. Ciò che esiste, esiste in quanto individuo. La sua è una posizione “nominalista”.

Il nominalismo si può definire come la posizione filosofica che sostiene che i concetti astratti, i termini di portata generale e quelli che in filosofia sono chiamati universali non posseggono una loro propria esistenza, ma esistono solo come nomi. Questo modo di vedere porta a ritenere che solo gli oggetti (fisici) particolari possono essere considerati reali, mentre gli universali esistono solo post rem, come convenzioni verbali associate agli oggetti specifici, ovvero nella immaginazione o memoria di chi ne parla. Il nominalismo si contrappone al concettualismo e al realismo filosofico, la posizione che sostiene che i termini generali dei quali si fa uso, come "albero" e "verde", rappresentano forme di portata generale che posseggono un'esistenza in un mondo di astrazioni indipendente dal mondo degli oggetti fisicamente definiti. Tale posizione si richiama in particolare a Platone. Il nominalismo è suddiviso in nominalismo estremo e moderato. Il nominalismo moderato è la posizione filosofica di stampo nominalista portata avanti da Guglielmo da Ockham nel XIV secolo. Si poneva nella disputa sugli universali definendo essi come concetti della nostra mente espressi attraverso un nome. Per questo egli sosteneva bisogna togliere di mezzo gli universali (Rasoio di Ockham) nell'ambito della conoscenza in quanto non solo inutili ma anche portano a raddoppiare la ricerca della verità (se devo conoscere Socrate che bisogno c'è che io conosca anche l'universale umanità a cui il filosofo ateniese appartiene?). Fra gli esponenti principali del nominalismo estremo medioevale, ricordiamo Roscellino, tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo, vero e proprio fondatore di questa posizione filosofica, per cui gli universali erano semplici suoni (flatus vocis), espressione spesso usata per indicare ciò che non ha nessun fondamento reale.

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