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Gli studi filologici sullo spettatore di cinema


È dopo la guerra, in seno all’Institut de Filmologie, a partire dal ’47, che si torna a interessarsi dello spettatore di cinema; prima della filmologia ci si limitava a constatare la verità elementare che il film impressionasse il pubblico, è al perché e al come che la nascente disciplina si è dedicata. Gli studi filologici si interessano innanzitutto alle condizioni psicofisiologiche della percezione delle immagini di film; esse applicano i metodi della psicologia sperimentale e moltiplicando i testi permettono di osservare le reazioni di uno spettatore in condizioni date.
Lo studio del dottor Oldfield si propone così di chiarire i problemi della percezione delle immagini filmiche, che egli classifica nella catena delle immagini artificiali confrontandole con l’evoluzione della tecnologia dei radar; egli si interroga sulla nozione di somiglianza fedele, suppone l’esistenza di una scala di somiglianza e ricorda che l’immagine di film è un oggetto puramente fisico, composto da una certa distribuzione spaziale di intensità luminose sulla superficie di uno schermo. Oldfield pone i limiti della fedeltà fotografica attraverso la tessitura dei suoi punti e l’alterazione dei rapporti di contrasto e di direzione: egli stabilisce chiaramente che l’immagine sullo schermo è il risultato di un procedimento psichico che può essere sottoposto a misura e a un trattamento quantitativo e che esistono dei criteri oggettivi precisi alla realtà. Queste osservazioni lo conducono a concludere che la percezione visuale non è una semplice registrazione passiva di un’eccitazione esterna, ma che essa consiste in un’attività del soggetto percepente; questa attività comprende dei processi regolatori il cui scopo è di mantenere una percezione equilibrata; questi meccanismi di costanza realizzano per esempio il mantenimento della grandezza apparente sullo schermo, e delle figure di questo schermo, malgrado la distanza cui questo si trova dallo spettatore. Un secondo aspetto della ricerca filmologica riguardante la percezione del film è caratterizzato dallo studio delle percezioni differenziali a seconda delle categorie di pubblico; questo versante dello studio filologico dello spettatore ci conduce ai bordi della semiologia medica.
Souriau si dedica a definire i diversi livelli che secondo lui intervengono nella struttura dell’universo filmico; tra questi livelli egli distingue quello che riguarda i fatti spettatoriali: il piano spettatoriale è per lui quello in cui si realizza in atto mentale specifico l’intellezione dell’universo filmico, la diegesi, a partire dai dati schermici. Egli chiama fatto spettatoriale ogni fatto soggettivo che metta in gioco la personalità psichica dello spettatore: per esempio, la percezione del tempo, a livello filmofanico, cioè riguardante la proiezione, è oggettiva e cronometrabile, mentre è soggettiva sul piano spettatoriale. Vi possono essere fenomeni di interruzione tra i due livelli: se per esempio i dati schermici conoscono dei rapidi fenomeni di accelerazione, è possibile che certi spettatori non seguano il ritmo dell’accelerazione e interrompano, e in questo caso essi cessano di realizzare ciò che accade e non hanno più che un’impressione di disordine e confusione; una tale disgiunzione è ugualmente osservabile nel caso di certi trucchi, il cui grado di arbitrarietà può ostacolare la credibilità. Souriau precisa anche che i fatti spettatoriali vanno ben al di là della durata della proiezione: essi integrano in particolare l’impressione dello spettatore all’uscita dal film e tutti i fatti che riguardano l’influenza profonda esercitata dal film in seguito, sia attraverso il ricordo, sia attraverso una sorta di impregnazione produttrice di modelli di comportamento; lo stesso vale per lo stato di attesa creato dalla locandina del film che per esempio costituisce un fatto spettatoriale pre-filmofanico.

Tratto da ESTETICA DEL FILM di Nicola Giuseppe Scelsi
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