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La teoria della localizzazione di Weber

La teoria della localizzazione di Weber




Si dicono industrie ubiquitarie quelle che si trovano accanto ai mercati. Ne sono esempio gli editori di quotidiani, i panifici e i caseifici, che producono tutti merci altamente deperibili o destinate al consumo immediato. I costi di trasporto, invece, sono più di una semplice funzione della distanza lungo la quale vengono trasportati i beni, perché dipendono dai diversi tassi di nolo, le tariffe richieste per il carico, il trasporto e lo scarico delle merci. I tassi di nolo distinguono i beni, sulla base della loro presunta capacità di sostenere costi di trasporto relazionati al valore. In generale, i prodotti lavorati sono di pregio più elevato e di maggiore fragilità, e possono per questo avere tassi di nolo più elevati delle ingombranti materie prime non lavorate. Oltre a ciò, ogni trasporto deve sopportare una serie di costi fissi, per gli investimenti immobiliari, gli impianti e l’equipaggiamento della società e i costi terminali e di percorso di trasporto. I costi terminali sono le tariffe legate alle spese di carico, di imballaggio e di scarico nonché alle pratiche burocratiche e ai relativi documenti di viaggio. I costi di percorso variano con il trasporto individuale e sono spese legate all’effettivo movimento dei beni, una volta caricati. Sono assegnati a ogni carico, a seconda dell’equipaggiamento usato e della distanza percorsa. I costi di trasporto totali rappresentano una combinazione di tutte le spese e sono funzioni di distanza curvilinee anziché lineari. Le decisioni di localizzazioni delle imprese non si basano sull’impatto di un singolo fattore industriale selezionato, ma sulla combinazione e sull’equilibrio di un buon numero di considerazioni. Sono tre i fondamentali approcci ai problemi di localizzazione degli impianti: teoria del minor costo, la teoria dell’interdipendenza delle localizzazioni e la teoria della massimizzazione dei profitti. Il modello classico di teoria della localizzazione industriale, la teoria del minor costo, si fonda sul lavoro di Alfred Weber ed è a volte chiamata analisi weberiana. Il modello spiega la localizzazione ottimale di uno stabilimento manifatturiero in termini di minimizzazione di tre spese base: costi relativi al trasporto, costi di manodopera e costi di agglomerazione. L’agglomerazione si riferisce al raggrupparsi di attività produttive e di individui per un vantaggio reciproco. Un simile raggruppamento può produrre “economie di agglomerazione”, tramite la condivisione di impianti e servizi. A causa della competizione per queste risorse, tuttavia possono anche sopravvenire delle diseconomie, quali affitti o salari più alti. Weber conclude che i costi di trasporto sono l’elemento principale nel determinare la localizzazione. In altre parole, la localizzazione ottimale si troverà laddove sono più contenuti i costi di trasporto delle materie prime verso la fabbrica e dei beni finiti verso il mercato. Egli osserva comunque che, se le variazioni nei costi della manodopera o dell’agglomerazione sono abbastanza elevati, una localizzazione stabilita soltanto in base ai costi di trasporto può in effetti non rivelarsi ottimale. L’analisi weberiana, comunque, mira alla localizzazione con il minimo costo di trasporto, che risulterà probabilmente un punto intermedio all’interno del triangolo localizzativo. La sua posizione esatta dipenderà dalle distanze, del peso rispettivo delle materie prime impiegate e del peso del prodotto finito, e potrà essere orientata tanto verso le materie prime quanto verso il mercato. L’orientamento verso le materie prime riflette una notevole perdita di peso durante il processo produttivo; l’orientamento verso il mercato indica un incremento di peso.

Tratto da I CONCETTI CHIAVE DELLA GEOGRAFIA di Gabriella Galbiati
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