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Capitolo V: la conoscenza di Dio per eius nomen primarium quod est esse

Dopo aver contemplato Dio fuori di sé ed in se stessa, l’anima del viator deve sforzarsi, elevandosi al di sopra di se stessa (extra nos), di contemplarlo nella Sua realtà. In questa tappa dell’Itinerario l’uomo deve ricorrere a quella luce che è impressa nella sua anima, che è la luce della Verità eterna, ossia a quella luce che rende la sua anima simile a Dio.

Contemplare Dio nella sua realtà significa considerarlo nei due modi in cui Lui stesso ci ha insegnato a conoscerlo nel Vecchio Testamento attraverso Mosé, e nel Nuovo Testamento attraverso Gesù: il primo modo fissa lo sguardo sull’unità dell’essenza divina, affermando che il primo nome di Dio è «Colui che è»; il secondo fissa lo sguardo sulla bontà di Dio, riconoscendolo come «Bene».

Consideriamo innanzitutto il primo di questi nomi divini: «Colui che è». L’intelletto umano non potrebbe sapere quali enti sono limitati e manchevoli senza conoscere l’ente assolutamente perfetto. Tale ente è il Puro Essere (Esse), è Dio stesso. Tuttavia, comportandosi come colui che, prestando attenzione alla varietà dei colori, non nota la luce per mezzo della quale vede tutte le altre cose, il nostro intelletto, prestando attenzione agli enti particolari e universali, non nota l’essere al di là di ogni genere, benché per primo gli si presenti dinanzi e, per mezzo suo, gli si presentino tutte le altre cose. Esso, abituato alle tenebre delle realtà particolari, quando fissa lo sguardo sulla luce dell’essere sommo ha l’impressione di non vedere alcunché, non comprendendo che proprio quella somma tenebra è la luce della nostra anima.

Considerando, per quanto è possibile, il Puro Essere in se stesso, si noterà che non riceve il suo essere da un altro perché assolutamente primo, che non ha in sé il non–essere poiché non ha principio né fine (pur essendo principio e fine della creazione), ma è eterno, che è assolutamente semplice perché non è costituito da null’altro se non da se stesso, che non ha nulla che sia ancora in potenza, ma è totalmente atto (perché tutto ciò che è in potenza ha in sé una parte di non – essere), che è totalmente immutabile perché, essendo atto puro, non acquista nulla di nuovo né perde qualcosa di ciò che già ha, che è perfettissimo in quanto privo di imperfezioni e in quanto non c’è nulla che sia migliore di lui, che è uno in quanto non ha in se stesso nulla che sia diverso da sé ed è allo stesso tempo principio di molteplicità perché misura di tutte le cose.

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