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Le fasi della poesia di Juan Ramòn Jimènez

La prima fase.
Inizia muovendosi nella sfera della sensazione e della memoria come dimensione temporale interna all’io. Nascono così i cantabili di Arias tristes, una raccolta del 1903 che ebbe enorme successo. Nel 1904 escono i Jardines lejanos, dove rivela di essere al di là della ricerca modernista di musicalità. Con Pastorales, nel 1911, si chiude la fase descrittivo – sentimentale della sua poesia, e si apre quella della dimensione pura. Un addio ai temi idillici è pure Platero y yo, del 1914, un libretto in prosa dove Jimènez parla dei suoi immaginari vagabondaggi attraverso le campagna andaluse, in groppa ad un asinello saggio e comprensivo, con uno stile naif molto sofisticato.
La fase della transizione.
Si apre una fase di transizione, con Estìo (1915) e Sonetos espirituales (1917). Nel primo si avverte in modo evidente l’influenza del canto popolare andaluso, dato che Ramòn aveva sempre rifiutato l’eternismo castigliano, tanto di moda nei primi anni del secolo.
Una scelta decisa e definitiva, in direzione di un panlirismo identificato con la cultura meridionale e affidato alla purezza ed esattezza della linea popolare del canto andaluso. Un canto dove trovava un processo di stilizzazione di contenuti universalmente umani, una sintesi intuitiva tra io e totalità, caratteri a lui molto congeniali in quella fase.
Sonetos espirituales  si muove nell’ambito del rapporto del poeta con la poesia colta castigliana, rapporto che fu particolarmente intenso negli anni 1907 – 1912 e che concorse alla scelta di uno stile più maturo. Qui svolge con estrema bravura il tema della poesia come forma e ricerca di immortalità.
La terza fase.
Seguono poi il Diario de un poeta recièn casado ed Eternidades. Il primo è un diario reale di un viaggio da Madrid, a Cadice, all’America del Nord; segue il matrimonio, il viaggio di ritorno, l’Andalusia e i ricordi d’America. Sono tre i temi: il mare, la donna e gli USA. La violenza della città invade anche la riserva soggettivistica del poeta, e si fa incubo, ma è la donna il vero grande tema. La donna in Jimènez è tema complesso, con la sua nudità, la sua crudeltà e la crudeltà verso di lei. Abbiamo poi il mare, con cui intrattiene un lungo soliloquio in cui abbandona i metri delle prime raccolte per dedicarsi al verso libero.
Eternidades è forse il libro più completo di Jimènez poeta puro. Appassionato, percorso integralmente da una disperata tensione per sfuggire all’abisso del nulla, e da un crescente anelito di totalità.
Seguono poi Piedra y cielo (1919) e Belleza (1923), dove la parola poetica di Jimènez raggiunge una intensità di significato con estrema semplicità di mezzi, con una misura da classico e da maestro.  
La quarta fase.
Tace poi fino al 1946 quando esce La estaciòn total, contro canto all’imperante appello surrealista al magma dell’istinto come sorgente della poesia, Jimènez contrappone la sua drastica difesa della poesia intellettuale. Lui contro Neruda, che dagli anni ’30 aveva iniziato a sostituirlo come modello dei giovani intellettuali.
Infine alcune raccolte di prose, frutto delle sue conferenze negli USA, uscite per lo più postume, che testimoniano la sua statura di intellettuale.
Nel 1949 era uscito Animal de fondo, poesia del pieno abbandono al dialogo con “il dio della bellezza realizzata”, il cerchio in cui ogni cosa ritorna su se stessa, così come in fondo era stata la sua poesia. Una circolarità che può dare, alla lunga, un senso di angustia tipico di ogni insistito intimismo, ma rimane il fatto che fu un intimismo lucidamente vissuto e che trova, in quella lucidità, verità e durata.

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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