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Soggettiva e identificazione nella teoria del cinema


Secondo alcuni la soggettiva determina un’identificazione con lo sguardo del personaggio, dunque mediata e non diretta; Chatman utilizza la dicotomia “storia” / “discorso” di Genette per distinguere i punti di vista in “percettivo” (visione attraverso gli occhi), “concettuale” (significato figurato) e “dell’interesse” (significato traslato), presenti in ogni fatto narrativo; il punto di vista di un personaggio è sempre nella storia, mentre la voce narrativa è sempre fuori della storia e nel discorso. Aumont distingue i punti di vista “ottico” (posizione della cinepresa rispetto all’oggetto ripreso, multipla e variabile nel cinema narrativo), “percettivo” (la “vue”, la prospettiva che si genera come effetto del punto di vista ottico, con l’annessa illusione di profondità), “narrativo” (punto di vista dell’istanza narrante o del personaggio) e “predicativo” (sovradeterminazione dell’immagine con un atteggiamento mentale che indica il giudizio del narratore sul personaggio); l’espressionismo tedesco dilata le forme, caricandole di segni in un punto di vista predicativo basato sul profilmico (l’oggetto inquadrato) e non sull’inquadratura, l’impressionismo francese deforma e stilizza in base all’inquadratura, e il primo si fonda sulla “fotogenia”, il secondo sulla “rivelazione”; Aumont supera tale dicotomia affermando che è un tipo di punto di vista a prevalere (quello predicativo nei due casi) tra quelli presenti, sempre tutti e 4. Branigan studia il “point of view shot” (inquadratura soggettiva), e distingue un PDV percepito (percezione), uno avvertito (attitudine), uno filtrato (identificazione con l’osservatore), uno detto (linguaggio) e uno ripercorso (posizione di lettura).

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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