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La nozione di autore al cinema



È indubbio che la nozione di autore sia nella storia come nella teoria del cinema, una tra le più largamente sottoposte ad un’ampia revisione critica. Tuttavia, per quanto poco lo si possa avere in stima, per quanto reduce da attacchi ormai decennali, l’autore sembra continuare imperterrito ad animare i discorsi sul cinema, magari in maniera implicita, magari rientrando dal lato proprio in quei discorsi che vorrebbero stabilirne i limiti.
L’autore rappresenta nel discorso sul cinema un oggetto di dubbia consistenza teorica, ma di indubbio valore euristico. Sul motivo che rende cosi difficilmente eliminabile la nozione di autore si possono accampare delle ragioni ci comodo – in cui si una l’autore come etichetta di comodo per identificare oggetti che non necessariamente ad esso fanno riferimento; un uso strumentale dunque, di un nome che ha una mera funzione di indice –, oppure una motivazione di tipo generale, che sarebbe da definire antropologica – che giustificherebbe la necessità di una figura d’autore con il bisogno da parte dello spettatore, del cinofilo o dello studioso di attribuire parte della responsabilità comunicativa ad un soggetto antropomorfo altro da sé; si tratta dunque di una mitologia in senso proprio, di cui non può sfuggire l’aspetto evidentemente religioso.
Comunque, entrambe le opzioni, per quanto motivate, lasciano senza spiegazione la capacità operativa, euristica della nozione d’autore. Ciò che rende questa nozione tetragona agli attacchi e alle revisioni è una sua qualità intrinseca di natura assai particolare: una sorta di “perfezione” che emana dal ragionare attraverso l’autore.
Lo iato che sembra potersi individuare tra valore euristico certo e dubbia consistenza teorica, da un lato segnala le inadeguatezze e i limiti dei modelli teorici di riferimento, che non riescono a rendere conto al loro interno di quelle acquisizioni che per un’altra via, quella dell’autore, divengono accessibili al discorso sul cinema. Dall’altro lato però ci indica che l’autore come strumento euristico trova la sua forza attraverso la rimozione del problema: è solo dando per scontato ciò che è incerto che è possibile porre in opera il ragionamento dell’autore; esso opera dunque attraverso la chiusura di una contraddizione, che viene, se non cancellata, almeno resa in effettiva, sottratta al suo aspetto dinamico e produttivo, perfezionata.
C’è da chiedersi se ciò non comporti anche la rimozione di un aspetto dell’oggetto cinema. Questo significa rivolgersi alla Francia degli anni venti e in particolare a una linea di prassi e discorsi cinematografici incentrati attorno alla questione di fotogenia, pensando evidentemente a Delluc e Epstein.

Tratto da SEMIOTICA DEI MEDIA di Nicola Giuseppe Scelsi
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