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Giacomo Leopardi – Il piacere


Nel periodo a cui appartiene questo brano (estate 1820), Leopardi è particolarmente interessato alla teoria del piacere, già campo di discussione privilegiato nel Settecento francese come in quello italiano. E poiché tale tema è centrale nella filosofia leopardiana s'intende che continuerà a ragionare nel suo diario, magari con accenti diversi. Al brano che commenterò ne segue senza soluzione di continuità un altro sull'inclinazione dell'uomo all'infinito, in cui figurano anche i celebri passi sulla bellezza.
Ora l'originalità stringente del ragionamento di Leopardi nel nostro brano sul piacere consiste appunto nel rapportare la nozione di piacere, e di desiderio del medesimo, a quella di infinito. Ma la chiamata in causa di quest'ultima non comporta per nulla un'ottica spiritualistica bensì, come Leopardi si premura di avvertire subito, strettamente materialistica: una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. Del resto la mente nostra non può solamente conoscere ma neppur concepire alcuna cosa oltre i limiti della materia.
Vediamo con quali mezzi logici o logico – stilistici Leopardi proceda a fissare il suo vero. Anzitutto marcando continuamente le concatenazioni necessarie di causa – effetto e di antecedenza – conseguenza: cagione, perché, e perciò, quindi, ora, così che, il fatto è che. Altra costante è la cura della distinzione e precisazione concettuale, come in al piacere ossia alla felicità; questo desiderio e questa tendenza; ingenita e congenita; una infinità di piacere ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato. È prova eloquente della natura agonistica del pensiero leopardiano che questa tendenza si esprima spesso e volentieri attraverso correctiones introdotte seccamente dal ma. Analogamente si concedono ipotesi per poi negarle: Se anche fosse possibile..., E posto che..., Aggiungete che quando anche.... Tale strumentanzione logica appare tanto più limpida, come di vene in rilievo, perché affiora da una prosa che è tutt'altra da quella letteraria delle Operette morali ma in sostanza non si discosta dallo stile semplice dell'autodiscorsività diaristica, questo perché a Leopardi interessa sostanzialmente segnalare l'assolutuezza dei concetti in gioco. A ciò provvede in primo luogo la continua ripetizione di quelli che lui stesso chiamerebbe termini, cioè parole a significato univoco, come piacere, desiderio, durata, estensione. È una folta vegetazione, come quella di cui ha parlato in una pagina celebre del suo diario, che ci dà come spesso nel Leopardi pensatore un'impressione altrettanto di verità definitiva come di qualcosa di chiuso e soffocante, e dell'isolamento quasi mortale in cui un pensatore di tale livello ha pensato, non fosse l'alacrità del ragionamento a ravvivarla e rinfrescarla.
Marchi dell'assolutezza concettuale sono anche i molti avverbi generalizzanti in -mente: essenzialmente, unicamente, limitatamente, materialmente ecc..Abbiamo già detto che la possibile realizzazione del desiderio del piacere è misurata da Leopardi sul concetto di infinito, nello spazio e nel tempo. Tale concetto porta con sé di necessità il lessico caratteristico di Leopardi in materia, e non solo nei vari registri della sua prosa ma anche in poesia: infinito, immenso, infinità, indeterminata, illimitata, tutto.
Abbiamo però detto che l'infinità del desiderio del piacere dà scacco a sé medesima, perché il piacere (soddisfatto) non può essere infinito, così le formulazioni al negativo che dapprima caratterizzano in modo apparentemente vitale l'infinità del desiderio (non ha limiti ecc...) s'intrecciano subito in modo indissoluble con quelle che indicano perentoriamente l'impossibilità di realizzarlo: non ci può essere nessun piacere che eguagli né la sua durata né la sua estensione.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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