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Giacomo Leopardi – Il venditore di almanacchi e il passeggere


Questo, assieme al dialogo di Tristano e un amico, furono scritti da Leopardi nel 1832, a notevole distanza dalle precedenti Operette edite nel 1824, e pubblicati solo nell'edizione del 1834. Lo schema è quello di altri dialoghi leopardiani: un loico, o più loico, convince con argomentazioni stringenti qualcuno che lo è meno, di qualche amara verità. E come spesso accade nelle Operette anche in questa la sostanza deriva, con repliche ma anche correzioni, da appunti dello Zibaldone. Nel Venditore di almanacchi la struttura amebea è trattata da Leopardi col massimo di stringatezza, sprezzatura e velocità: solo due battute del testo (ovviamente del passeggere) superano le due righe; da cui il ritmo rapido e continuamente accentato, come in un balletto, il che discende ance dal fatto che, escluse le tre ultime del placato finale, le battute del passeggere consistono o terminano in interrogative che incalzano lo sprovveduto venditore. L'interrogatività maieutica delle Opererette è qui spinta al massimo ma anche massimamente alleggerita, fino a sfiorare il gioco. E così è esaltata quella teatralità che non è uno dei fascini minori di queste prose. Di più: nella generale e non consueta nitidezza “moderna” nel lessico e delle espressioni, le botte e  risposte si collegano spesso a eco per questo o quell'elemento: Almanacchi, almanacchi nuovi...almanacchi? / Almanacchi per l'anno nuovo?; Non vi piacerebb'egli? / Signor no, non mi piacerebbe; Quanti anni..? / Saranno vent'anni / A quale di cotesti vent'anni?
Non meno significative le ripetizioni a breve distanza entro battute diverse dello stesso personaggio: Oh illustrissimo / Più più, illustrissimo; Più più assai / Più più; Cotesto si sa / Cotesto non vorrei / Lo credo cotesto
Per non dire delle replicazioni di parole chiave che si affollano nella battuta lunga o stretta argomentativa del passeggere (32), aggrappate all'essenza della questione: male, bene,  e soprattutto vita, declinata nelle sue possibilità, quella che ci conosce e quella che non si conosce, la passata e la futura. Poiché si tratta sempre, in tutto il genere di replicazioni, di parole comuni, ecco che ne viene accentuato l'aspetto inusualmente “umile” della lingua del dialogo. Ma per altro verso sono anche le ripetizioni a ridurre la questione al suo nocciolo, orchestrandola fra due diverse ma complementari insistenze, quella dell'ignoranza, fatalismo e subalternità del venditore e quella del passeggere, l'intellettuale che sta stretto alla sua triste verità e la batte e ribatte, non senza quel tanto di soddisfazione maligna che perfino Leopardi poteva conoscere.
Galimberti ha osservato che questa è la sola operetta ad avere struttura circolare (Almanacchi, almanacchi nuovi, all'inizio e alla fine). C'è naturalmente un sapiente tocco di realismo scenico sapiente che non sarebbe dispiaciuto a Goldoni, ma è probabile che questo anello sia anche la controparte stilistica di un senso e concetto dell'immutabilità dell'esistenza, quindi in qualche misura della sua circolarità, che erano profondi in Leopardi; però altrettanto probabilmente vi risuonano la sua esperienza e il suo sentimento, non meno profondi, che la vita continua pure come immediatezza e consuetudine al di là del nonsenso che il filosofo nichilista pensatamente le assegna.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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