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La municipalizzazione del pane a Palermo, 1902


Così nel 1902, sulla rivista La Lettura, appare un saggio sulla municipalizzazione del pane a Palermo nei secoli XVII e XVIII. Mosca opera qui una lettura che è lucida solo parzialmente: rifiuta il diffuso cliché di immobilismo e di generale decadenza del periodo spagnolo ma colloca il periodo di decadenza nel Seicento, con l'attenuante che viene collocato all'interno di un generale processo di crisi dell'area mediterranea. Mosca ha però chiara la condizione articolata delle istituzioni politiche palermitane: il Viceré non era certo un regnante monopolista, trovandosi in una secolare realtà municipalizzata e frammentaria, soprattutto tra Palermo e Messina. Proprio la municipalizzazione del pane rappresenta un elemento di estremo interesse storico. Agli inizi dell'età moderna la politica granaria degli stati era di tipo mercantilistico, ma in Sicilia no: il grano era esportato dovunque, con grossi profitti per i produttori. Il problema dell'esportazione non era però pacifico, scontrandosi gli interessati all'export contro gli artigiani e chiunque ne usufruisse sul posto, subendo gli sbalzi letali di prezzo. La soluzione fu la municipalizzazione del pane, tradotto nel monopolio della vendita del bene da parte del comune di Palermo; ciò fece sì che il prezzo del pane per i cittadini non rincarasse qualsiasi oscillazione subisse il prezzo del grano.  La natura tutta politica di questa municipalizzazione è al centro dell'analisi di Mosca, che ne coglie l'importanza e ne legittima l'inserimento nel pieno di una articolazione istituzionale che è lo specchio delle relazioni politiche e sociali, la clausola del tacito compromesso fra il Senato di Palermo grande di Spagna e le maestranze della città che tramite l'uso della forza armata, nient'affatto secondaria, ottenne ciò che voleva. Il meccanismo, chiaramente, finì per spezzarsi: l'invariabilità del prezzo del pane condusse a lungo andare alla creazione di un grosso debito sulle spalle dell'erario comunale, che fu, secondo Mosca, la scintilla della rivolta del 1647, quando l'innalzamento del prezzo del pane divenne inevitabile. Con i Borboni il sistema monopolistico, già claudicante, viene smantellato perché irragionevole dal punto di vista economico. Durante questo periodo qualcosa di qualitativamente diverso viene affiancandosi ai consueti abusi che quel sistema aveva generato. I funzionari borbonici erano reclutati nel ceto nobiliare palermitano ma non sulla base della competenza, bensì su quello dell'appartenenza a clientele vicine al potere dominante. Se è vero che coi Borboni le tensioni sociali aumentano, è anche vero, dice Mosca, che i nobili non si fanno scoraggiare. Essi non pensano a risolvere il malcontento bensì a difendere la loro pelle, assoldando delinquenti. Al resto pensa la burocrazia borbonica che cede continuamente alle richieste degli aristocratici palermitani di consegnare permessi d'armi revocati o scarcerare malavitosi con la promessa che non avrebbero più fatto del male e che anzi si sarebbero messi a disposizione del nobile di turno. Mosca economista loda la destrutturazione del monopolismo, da buon liberale, ma ne critica le forme e gli esiti politici, additandoli come fonti di coltura della mafia.

Tratto da STORIA DELLA PEDAGOGIA di Gherardo Fabretti
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