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La grande produzione di R. Longhi degli anni Trenta


Alla fine degli anni Venti nascono due capolavori della storiografia longhiana: la monografia su Piero della Francesca (1927) e l'Officina ferrarese (1934). Il primo è ricco di apporti filologici importanti, sia a proposito della ricostruzione dell'artista, sia per l'analisi dei fatti e delle scuole Quattrocentesche dell'Italia centrale.
L'Officina ferrarese nasce come commento alla scuola pittorica ferrarese del Quattrocento e Cinquecento presentata alla mostra del 1933. L'opera ha un taglio saggistico, con un andamento da salonnier che commenta prendendo spunto da tutto ciò che gli viene mostrato. Ma qui in particolare, nel momento in cui prova a ricostruire la continuità bisecolare (dal Tura al Guercino) della scuola ferrarese, Longhi riesce a mantenere l'equilibrio dinamico con le sue straordinarie ricostruzioni delle culture generazionali, su ambiti territoriali variabili, estesi a volte su tutto, o quasi il territorio nazionale. Ferrara viene caratterizzata non meno che per la continuità della sua cultura astrologica, luogo esemplare delle connessioni tra Italia centrale e settentrionale, tra Toscana, piccoli stati umbro – marchigiani, Valle Padana e Veneto, su cui Longhi ha costruito la sua rivoluzionaria visione del Rinascimento.
In questi due libri Longhi raggiunge la maturità; è qui possibile cogliere in maniera quasi esemplare la modalità di stesura dei suoi testi critici insieme alla peculiarità della sua scrittura nella traduzione letteraria dei fatti figurativi che studiava.
Gli scritti di Longhi sono costruiti a due piani, come una pala d'altare: un dipinto centrale, tutto in una volta, e predella, a diversi scomparti. Al dipinto centrale corrisponde il testo, l'analisi dei fatti stilistici, la traduzione letteraria delle ricerche figurative; alla predella l'apparato filologico e documentario, affidato a note e appendici. Longhi non modificava mai, né correggeva un testo, che per lui era un fatto conchiuso, definitivo. Nella scrittura, nelle metafore sta la pepita del cercatore d'oro, il nucleo che aveva suscitato il lavoro; un nucleo che rischierebbe di essere compromesso da successi rimaneggiamenti. Solo l'apparato critico, affidato a postille e completamenti, può essere modificato.


Tratto da STORIA E CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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