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I registi rosselliniani: Pasolini, Citti, Pontecorvo e Ferreri, Bellocchio


Pier Paolo Pasolini è l’unico che svetta per la trasformazione della sua vita stessa in arte, riesce a creare percorsi figurativi attinenti alla pittura di Piero della Francesca, Masaccio e Masolino. Si accosta alla macchina da presa con l’Accattone (1961) e Mamma Roma (1962). Con La ricotta (1963) l’introduzione del colore concede maggiori possibilità espressive e l’autore si rende conto che il suo cammino intellettuale non ha alcun punto di contatto con quello del mondo sottoproletaria con cui ha tentato di identificarsi, si cimenta dunque con i classici, utilizzando letteratura e pittura come strumenti per la ricerca ossessiva del paradiso perduto. Il vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e uccellini (1966). Nell’ultima fase della sua vita sente un progressivo bisogno di parlare di sé e di interpretare il presente in chiave allegorica presentando Edipo Re, Medea, Decameron, I racconti di Caterbury, entrai n prima persona nel mito inserendo continui elementi di ironia.

Sergio Citti ha giocato un ruolo determinante di guida di Pasolini nelle borgate e ha presentato sullo schermo le proprie doti di regista Naif.
Bertolucci esordisce come aiuto regista di Pasolini, ma il suo primo film è Prima della rivoluzione (1964) in cui si libera dalle influenze pasoliniane rivendica un cinema colto, nella sua carriera sarà cruciale il sodalizio con Vittorio Storaro con il quale crea un vero e proprio laboratorio di studio della luce e del suo ruolo nel racconto. Nel 1972 Ultimo tango a Parigi attira subito la censura con Novecento nel 1976 affronta l’epopea della grande storia in un’ottica verdiana quasi di cantastorie.

Gillo Pontecorvo con La battaglia di Algeri (1966) racconta le tappe della liberazione del popolo algerino fondandosi su una documentazione rigorosa e sulla spettacolarizzazione degli attentati, è attratto dalle figure romantiche dei rivoluzionari e dei sovversivi.
Marco Ferreri è ossessionato dall’incombenza di temporalità distruttive  e dal profilarsi di catastrofi e piccole apocalissi è fondamentale alla sua produzione il soggiorno in Spagna che lo porta ai suoi capolavori grotteschi El cochecito L’ape Regina,  La donna scimmia e L’uomo dei cinque palloni. Il regista sembra voler applicare le teorie evoluzionistiche cercando giungere alle condizioni post-umane Dillinger è morto 1968 è un manifesto di denuncia dei disturbi comunicativi.

Marco Bellocchio esordisce nel 1965 con I pugni in tasca in cui si notano le influenze di Bunuel e sono chiari i riferimenti alla carica montante della protesta giovanile. Con La Cina è vicina la macchina da presa predilige la militanza politica e i movimenti studenteschi, continua a sviluppare i suoi temi anti istituzionali con Nel nome del padre (1971). Dagli anni Settanta Bellocchio dichiara di non poter rimanere per sempre arrabbiato con la vita cercando di stabilire rapporti più articolati con la realtà e il mondo interiore dei suoi personaggi; negli anni Ottanta è forte l’influenza dello psicanalista romano Massimo Fagioli. Il cinema di Bellocchio è sempre difficile e mirato alla ricerca della perfezione stilistica ed alla possibilità di cogliere momenti di verità interiore.

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