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Gadamer – Linguaggio: dialogo e rituale


Gadamer ritorna alla linguisticità dell’uomo, tentando di determinare il posto che le spetta nel mondo della vita, e prende in esame due concetti: essere-insieme ed essere-l’uno-con-l’altro.

Nell’ambito del comportamento animale, è difficile una chiara distinzione tra essere-insieme ed essere-l’uno-con-l’altro. Se da una parte anche tra gli animali può esservi un’intesa, ad agire qui non è l’uno o l’altro, bensì la natura a provvedere alla propria continuazione. Chiamiamo riti tali comportamenti, benché con ciò non s’intenda l’attenersi ad un determinato comportamento.
Nell’uomo, per contro, si sviluppa nella stessa specie una varietà di usi e costumi. Inoltre, anche il comportamento umano non si forma separandosi del tutto dalle forze istintuali della natura. Anche in noi resta un intreccio di essere-insieme e essere-l’uno-con-l’altro, violenza e controllo dell’istinto.
Nell’uomo, come detto, i riti non sono semplici modi di comportamento come quelli che notiamo negli animali. Negli uomini, tali modi di comportamento sono trasformati socialmente. Queste forme di comportamento sono a tal punto affinate che per coloro che appartengono ad una cultura è quasi impossibile comportarsi correttamente nei confronti di chi appartiene ad altre culture.
All’interno di ogni cultura ci si accorda e si conviene. Con l’espressione convenire, il linguaggio allude a qualcosa che non risale ad una esplicita istituzione o alla stipulazione di un patto, ma è ricevuto per tradizione. E’ altresì significativo che il linguaggio dica che troviamo un accordo. Qui è la saggezza del linguaggio a dirci che sono due diversi interlocutori ad incontrarsi.

Il parlare può avere carattere di rituale. L’uso linguistico è così univoco in ogni società che, ciò che esprimiamo con per favore se ci è versato da bere, in America è fissato in anticipo e perciò si dice grazie. L’esempio mostra la differenza tra il significato delle parole e la loro funzione nella pratica.
Mostra però anche che ogni società affiatata conosce perfettamente il senso pratico delle parole. Diviene chiaro in tal modo come la comunità linguistica plasmi la vita comune. Tutti si attengono a quel che è consuetudine. Qui non c’è libertà nell’uso delle parole, né scelta effettiva.
Il rito non è anzitutto parlare, ma agire. Dove si passa alla ritualità anche il parlare diventa un agire. Il rito si compie nella dimensione del comportamento collettivo. E’ per questo che il predominio del rito è diffuso in particolare nell’ambito religioso in cui tutto si armonizza. Non è un singolo, in quanto singolo a compiere un azione. L’azione non è la sua azione.

Tutti coloro che vi partecipano sono insieme alla stessa distanza dal divino. La comunità del culto non può sentirsi spettatrice. E questo perché è parte dell’azione. Può partecipare all’azione cantando il canto che tutti intonano, anche se i testi saranno forse enigmatici e non si capiscono.
Quanto poco dialogo c’è qui, quanto poco essere-l’uno-con-l’altro, e quanto tutto è un collettivo essere-insieme. Ciascuno se ne può accorgere nella celebrazione di qualsiasi festa. La nota distintiva della festa non è che ci si intrattenga bene, ma che tutti insieme si prenda parte.
Per contro, nella vera vita del linguaggio, si coltiva l’essere-l’uno-con-l’altro, soprattutto nei dialoghi. Essere-l’uno-con-l’altro non consiste nel fatto che prima prende la parola l’uno, e tiene un monologo, e poi prende la parola l’altro. Piuttosto la parola cerca nel dialogo una risposta. Ogni parola è una domanda. Ogni possibile replica è in fondo un andare incontro e non già la resistenza dell’essere contro; testimonia perciò che si cerca di convenire.

Tratto da LINGUAGGIO di Domenico Valenza
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