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Ostacoli alla riuscita del problem solving sociale


Ci si domanda se i training di problem solving sociocognitivo sono davvero efficaci nel migliorare il comportamento e l’adattamento sociale di soggetti in età evolutiva. Secondo Coleman, Wheeler e Webber, gli effetti cognitivi del training risultano positivi, ma essi osservano che tali training garantiscono una diretta mediazione di apprendimento rispetto al comportamento sociale.

Come altre ricerche dimostrano, tutto ciò è una condizione necessaria, pre-requisito essenziale, ma spesso non sufficiente perché avvenga la generalizzazione dal contesto di apprendimento alla situazione reale. Diversi sono gli ostacoli che possono impedire la riuscita di questo processo:

1. Il problema nasce come tale solo se le soluzioni precedentemente apprese per situazioni analoghe non sono applicabili; può anche darsi che il soggetto non ricordi le soluzioni apprese o non sappia trasferirle.
2. Il problema, una volta percepito come rilevante dal soggetto, porta a uno squilibrio che induce una spinta motivazionale che, se eccessiva o insufficiente, altera la probabilità di cercare la soluzione.
3. La compresenza di un aspetto emozionale fa sì che non basta conoscere la soluzione per saperla automaticamente applicare. L’interferenza emotiva è certamente una delle determinanti che intervengono negativamente in tal senso.
4. Certe convinzioni (ad es. credere che il problema sia insolubile, che la soluzione sia possibile solo per caso, o l’insufficienza delle forze del soggetto) devono superarsi.
5. Ostacolo generale al corretto problem solving è la rigidità cognitiva: incapacità di cambiamento di prospettiva.
6. La soluzione trovata deve essere implementata nell’azione e occorre che siano disponibili alcune abilità comportamentali, senza le quali la conoscenza teorica della soluzione adeguata non può essere tradotta in prassi.
7. Il contesto in cui il soggetto vive può non supportare questo progresso: i feedbacks negativi creano nel ragazzo sentimenti di frustrazione. Tipico esempio è quello del genitore o dell’insegnante che reagisce con disappunto a modalità nuove e crea un conflitto emotivo che ostacola la successiva messa in atto delle soluzioni non accettate.

Occorre dunque un intenso e proficuo lavoro sull’attenzione selettiva, sull’espressione delle proprie emozioni e sulla ricezione delle emozioni altrui, sulla comunicazione interpersonale, sul mettere in atto nel gruppo le situazioni decisionali. E’ poi necessario che i soggetti generalizzino le soluzioni individuale provandole nella vita reale.

Bisognerà poi lavorare sull’autostima, sulla self-efficacy, sugli aspetti metacognitivi. Infine bisogna poi considerare la possibilità che il contesto in cui il ragazzo vive dia adeguati feedbacks ai cambiamenti messi in atto nelle modalità di soluzione dei problemi: la sensibilizzazione di famiglie e insegnanti diventa presupposto ineliminabile.

Tratto da IL PROBLEM SOLVING di Domenico Valenza
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