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Ebrei fra paria e parvenu


Posta di fronte all’eguaglianza politica, economica e giuridica per gli ebrei, la società rifiutò loro l’eguaglianza sociale a meno che non si trattasse di individui eccezionali.
La società voleva che il nuovo venuto fosse istruito come i suoi membri e che, pur comportandosi come un “ebreo comune”, fosse e producesse qualcosa fuori del comune poiché, dopotutto, era un ebreo.
Da essi si pretendeva addirittura che fossero eccezionali campioni di umanità: essi erano la prova vivente che tutti gli uomini sono uomini.
Gli ebrei fecero del loro meglio per non deludere l’attesa.
Il più rappresentativo dei salotti berlinesi fu quello di Rahel Varnhagen, la quale riuniva una società veramente mista, aristocratici illuminati, intellettuali borghesi e attori, tutti coloro, insomma, che come gli ebrei, non appartenevano alla società rispettabile. Il salotto ebbe fine nel 1806 quando gli aristocratici e gli intellettuali divennero antisemiti e, benché ciò non significasse da parte loro l’abbandono di tutti gli amici ebrei, l’innocenza e lo splendore svanirono.
Due anni dopo la disfatta della Prussia, nel 1808, il governo emanò la legge municipale che accordava agli ebrei pieni diritti civili, se non politici. Con tali decreti erano venuti a mancare l’oscura povertà e l’arretratezza da cui si erano distinti gli “ebrei eccezionali” per ricchezza e cultura; avevano perso lo sfondo originario contro il quale avevano fatto la figura di eccezioni.
Non solo le classi contrarie al governo e quindi apertamente ostili verso gli ebrei, ma tutti gli strati della società si indussero a vedere negli ebrei di loro conoscenza non tanto delle eccezioni individuali, quanto piuttosto i membri di un gruppo in favore del quale lo stato era pronto ad adottare misure straordinarie.
D’ora in poi ciascuno di essi dovette dimostrare che, pur essendo un ebreo, non era un ebreo.
Vennero a delinearsi due gruppi di ebrei: gli ebrei ricchi e gli ebrei intellettuali.
Gli “ebrei eccezionali” per ricchezza si sentivano tali rispetto al comune destino del loro popolo ed erano ritenuti eccezionalmente utili dai governi; gli “ebrei eccezionali” per cultura si sentivano anche creature d’eccezione, e tali erano riconosciuti dalla società. Tra i due gruppi i sviluppò un conflitto; questo conflitto si manifestò però in tutta la sua portata soltanto in Germania e cessò col sorgere dell’antisemitismo.
Gli ebrei invece di essere caratterizzati dall’origine etnica o dalla religione, si trasformarono per l’ambiente circostante, come per la propria coscienza, in uomini dotati di certi attributi psicologici e reazioni, la cui somma si suppose costituisse l’“ebraicità”. In altre parole, il giudaismo divenne una qualità psicologica e la questione ebraica un intrigato problema individuale.
L’ebreo degli apologisti (l’erede dei profeti ed eterno sostenitore della giustizia sulla terra) era provvisto di qualità che sono invero privilegio di tutti i paria, e che certi ribelli ebrei ai margini della società effettivamente possedevano: umanità, gentilezza, libertà dal pregiudizio, sensibilità all’ingiustizia.
Per contro, l’“ebreo in genere”, com’era descritto dagli antisemiti di professione, presentava quelle qualità che i parvenu deve possedere se vuole arrivare in alto: inumanità, avidità, insolenza, strisciante servilismo e determinazione di farsi strada.
Nella problematica individuale degli ebrei ebbe un peso determinante il dover a un certo momento decidere se rimanere paria escluso dai contatti sociali o diventare un parvenu e ottenere l’accesso alla società. Le vie del paria e del parvenu furono entrambe vie di estrema solitudine.
L’ebreo medio, invece, né parvenu né ribelle, poteva soltanto accentuare una vuota diversità.
L’ebraicità, dopo essere stata distorta e trasformata in qualità psicologica, poteva facilmente esser fatta passare per vizio, misteriosamente immorale o segretamente perverso.

Tratto da LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO di Antonino Cascione
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