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Il mistero dell’unicità


Stavamo parlando delle “professioni impossibili”: voi sentite che la libertà del soggetto, come l’elemento che lo fa essere diverso da tutti gli altri, unico irripetibile è sempre in gioco nelle nostre professioni.
Quando noi diciamo c’è un punto di impossibile è perché c’è in gioco una struttura.
Professioni impossibili non perchè c’è una inadeguatezza ma perché c’è una impossibilità tra la dimensione delle pratiche che noi mettiamo in atto e la struttura della relazione con l’altro: le pratiche che l’altro mette in gioco non arriveranno mai a cogliere tutta intera la dimensione soggettoettiva: c’è sempre un elemento eccedente che è esattamente quello che fa star male, quello che noi incontriamo nella pratica.
Riprendiamo il nostro schema della relazione, avevamo detto organismo-ambiente,
O A
Riprendiamo questa scrittura che in questo momento è conveniente: abbiamo detto che possiamo pensare, alla Lewin, il rapporto del soggetto con ciò che lo circonda come semplicemente organismo vivente (di cui altri organismi viventi si prendono cura) e l’ambiente, dove trova tante cose.
Spitz  ha mostrato, nella sua clinica, che non è sufficiente che ci siano cure generiche, che occorre che queste cure siano particolarizzate, occorre che ci sia qualcuno che le porta. C’è un elemento culturale in senso forte e c’è, nella particolarizzazione delle cure, anche
l’elemento della variabilità soggettoettiva:  caregiver modula soggettoettivamente quello che la cultura in qualche modo gli fa fare.
Dunque, la scoperta che viene fatta è la scoperta della pregnanza della relazione per il bambino molto piccolo, tale per cui, se questa particolarizzazione non si trasmette, il bambino non ha ragioni per vivere,
Un organismo vivente, in quanto umano, non è mai meccanicamente vivente, è vivente perché questo qualcuno in qualche modo gli costituisce un aggancio a giocare la vitalità del suo corpo che potrebbe anche non essere giocata. Io credo che la misteriosità di questa cosa sia molto importante; è una cosa che distingue proprio soltanto l’uomo.
In altri termini possiamo dire che è l’offerta dell’altro che in qualche modo evoca la domanda vitale del soggetto. Ecco perché è conveniente che noi trasformiamo quell’ambiente in questa “A” di Altro, e quella “O” di Organismo, per il fatto che, in qualche modo, c’è di mezzo il desiderio dell’altro in questa offerta.
L’offerta dell’altro diventa assumibile dal bambino in quanto animata dal desiderio, questa è la lezione di Spitz.
Solo se c’è di mezzo il desiderio specifico dell’altro orientato al soggetto, le cure sono assumibili e, a quel punto, sono tali da implicare della domanda.
Ecco perché quando il bambino piange perché vuole l’amore della mamma non pensiamo che sia patologico,  quel bambino è legato non alla saturazione dei bisogni vitali, ma è legato al desiderio dell’adulto.
Non può esistere domanda senza offerta: è l’offerta, sono i modi specifici della sua offerta, è la assumibilità o meno della sua offerta che produce domanda nel bambino: è esattamente questa la questione.

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