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La situazione politica in Italia alla fine della guerra: la nascita di nuovi partiti e della Repubblica


L’Italia si trovò ad affrontare i problemi di un difficilissimo dopoguerra. L’economia italiana era in condizioni gravissime, incalcolabili erano i danni inferti all’agricoltura, l’inflazione era paurosa: i prezzi al consumo erano cresciuti di 18 volte in 6 anni e c’era un’elevata disoccupazione. Nelle regioni del Centro-Sud contadini e braccianti avevano preso a occupare terre incolte e latifondi ma la minaccia più grave all’ordine pubblico veniva dalla malavita comune in buona parte legata al contrabbando e alla “borsa nera”, ossia il commercio clandestino di generi razionati, ed anche una ripresa del fenomeno mafioso. Fenomeni come questi erano i segni più evidenti della disgregazione morale oltre che politica in cui la guerra aveva gettato il Paese. L’Italia era una nazione sconfitta, occupata militarmente e dipendente dagli aiuti alleati.

Il dopoguerra avrebbe visto in primo piano i partiti organizzati su basi di massa, soprattutto quelli della sinistra operaia. In particolare, il partito socialista, che portava allora il nome di PSIUP, assunto nel ’43, pareva destinato ad assumere un ruolo da protagonista grazie anche alla popolarità del suo leader Pietro Nenni. Il gruppo dirigente però era tutt’altro che compatto, diviso tra le spinte rivoluzionarie e la tradizione riformista. Il partito comunista traeva una nuova forza e credibilità dal contributo offerto alla lotta antifascista e su questo fondava i suoi titoli di legittimità per presentarsi come forza nazionale e di governo. Il partito di Togliatti era un autentico partito di massa; contava infatti un milione di iscritti già dall’estate del ’45. Fra gli altri partiti presenti l’unico che apparisse in grado di competere coi comunisti e socialisti era la democrazia cristiana. Ispirata alla dottrina sociale cattolica, era guidata da Alcide de Gasperi e godeva di un più esplicito e massiccio appoggio da parte della Chiesa. Il partito liberale, che raccoglieva tra le sue file gran parte della classe dirigente pre-fascista, poteva contare sul sostegno della grande industria e dei proprietari terrieri, ma il rapporto tra i leader e la loro base elettorale era ormai compromesso. Fra i partiti laici, il partito repubblicano si distingueva per l’intransigenza sulla questione istituzionale; aveva infatti respinto ogni compromesso con la monarchia. Il PDA (Partito d’Azione) poteva vantare l’adesione di molti leader dell’antifascismo e di molti intellettuali e si presentava come una forza moderna promotrice di ampie riforme sociali e istituzionali ma era però privo di un’ampia base di massa.
L’Uomo Qualunque, fondato nel novembre ’45 dal commediografo Guglielmo Giannini, diffondeva il movimento qualunquista, che rifiutava qualsiasi caratterizzazione ideologica e si limitava a difendere il “cittadino medio”. Con i suoi slogan pittoreschi riscosse notevoli consensi soprattutto presso la piccola e media borghesia del Centro-Sud, spaventata dall’avanzata delle sinistre. Un ruolo importante, non solo sul piano economico, fu svolto anche dalla CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), che realizzò importanti conquiste normative: il riconoscimento delle commissioni interne che rappresentavano il sindacato all’interno delle aziende, una nuova e più rigida disciplina dei licenziamenti, una maggiore equità nella retribuzione tra i lavoratori di diverse categorie.

Dopo un lungo braccio di ferro fra socialisti e democristiani, i partiti trovarono l’accordo sul nome di Ferruccio Parri a Capo del Governo. Parri promosse un processo di normalizzazione del paese e mise all’ordine del giorno lo spinoso problema dell’”epurazione” dei vertici statali più compromessi dal fascismo. Annunciò inoltre una serie di provvedimenti volti a colpire con forti tasse le grandi imprese e a favorire la ripresa delle piccole e medie aziende. In questo modo Parri suscitò l’opposizione delle forze moderate, in particolare del PLI che nel novembre ’45 negò la fiducia al governo, determinandone la caduta. La DC riuscì allora ad imporre la candidatura di Alcide de Gasperi, sfruttando la posizione di forza acquistata. Il Governo aveva infatti fissato al 2 Giugno ’46 la data per le elezioni dell’assemblea costituente: le prime consultazioni politiche libere dopo 25 anni e le prime a cui avevano diritto a votare anche le donne. In questo stesso giorno i cittadini sarebbero stati chiamati a decidere, mediante referendum, a decidere tra monarchia e repubblica. Il 9 Maggio, a poche settimane dal voto, Emanuele III tentò di risollevare le sorti della dinastia sabauda abdicando in favore di Umberto II, ma la mossa non ottenne gli effetti sperati. La repubblica si affermò con margine abbastanza netto. Umberto II il 13 Giugno partì per l’esilio in Portogallo.
Nelle elezioni per la Costituente la DC si affermò come il primo partito.

Tratto da PICCOLO BIGNAMI DI STORIA CONTEMPORANEA di Marco Cappuccini
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