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Donne nella pubblicità


Negli anni ’70 molti autori notavano come vi fosse nella pubblicità televisiva una situazione di discriminazione: donne e ragazzi apparivano molto meno degli uomini, e avevano diverse caratteristiche (meno autoritarie, potenti, attive, con occupazioni di basso livello, meno intelligenti); rispetto ad allora il linguaggio della pubblicità si è evoluto, ma solo nei paesi più avanzati a livello socioeconomico. Alle donne oggi vengono attribuite immagini sociali di apparente parità, ma che nascondono però altre forme di differenziazione, riproponendo, seppur velatamente, un’inferiorità del femminile rispetto al maschile, o riattualizzando il modello della “donna-oggetto”.
Sabrina Pomodoro svela nuove e più sofisticate tecniche di rappresentazione differenziale della donna: il corpo femminile viene frammentato (solo un frammento è utilizzato per indicare simbolicamente l’intero corpo); lo sguardo della donna in pubblicità è rivolto all’interlocutrice, per coinvolgerla in profondità (mentre quello maschile raramente cerca di incontrare quello dello spettatore; guardare negli occhi è infatti simbolo di attenzione, volontà di ascolto); il soggetto maschile è immaginato come osservatore implicito, che guarda dall’esterno (e la donna per effetto di questo sguardo diventa un soggetto passivo); la donna rappresentata si annulla come persona, diventando un mero portavoce dei significati del prodotto, e declassandosi a mero oggetto di accompagnamento.

Tratto da STORIA DELLA PUBBLICITÀ IN ITALIA di Mario Turco
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