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Problemi etici connessi all’utilizzo di cellule staminali umane

Occorre premettere che problemi legali, etici e politici concernono esclusivamente le cellule staminali embrionali umane. In tutti gli altri casi l’utilizzo di cellule staminali adulte o non umane non pone problemi di sorta. Nel febbraio del 2004 è stata promulgata la legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita che vieta la produzione di cellule staminali embrionali, anche a partire da embrioni congelati. Negli altri paesi europei vigono leggi molto diverse tra loro: nel Regno Unito è lecita ed è finanziata con fondi pubblici la ricerca su ES umane, mentre altri paesi come la Germania e l’Austria la vietano. La Comunità Europea sta cercando di risolvere il non facile problema stabilendo delle linee guida, che però lasciano ai singoli governi nazionali la decisione finale sull’argomento. In USA invece la situazione è complessa: mentre il governo federale non concede finanziamenti, questa ricerca può essere finanziata da privati e di recente alcuni stati, quali la California, hanno operato massicci investimenti sulle staminali embrionali. Il motivo reale della situazione italiana è legato al concetto cattolico di “sacralità della vita umana”, che viene esteso anche ad embrioni congelati allo stadio di poche cellule o di blastocisti. Occorre sottolineare che nel caso della ricerca scientifica quello che conta è il risultato, ovunque questo sia ottenuto. E’ chiaro quindi che le difficoltà dovute ai problemi su menzionati non avranno alcun effetto sul rapido evolversi della ricerca sulle ES umane che si svolge in USA e in altri paesi e che quindi presto saranno disponibili i risultati di questo lavoro e si potrà valutare la loro applicabilità in protocolli terapeutici. Nel frattempo, nel tentativo di sbloccare questa situazione in Italia, l’Associazione Luca
Coscioni si è fatta promotrice di un referendum per abrogare la legge 40 o almeno alcuni suoi articoli tra cui quello sulle cellule staminali embrionali. Esistono, come su ricordato, decine di migliaia di embrioni congelati. Molti di questi embrioni, benché ancora vivi, non sono più in grado di dare origine ad una blastocisti normale e pertanto non vengono impiantati. Contengono però al loro interno cellule che possono essere espiantate in coltura e dare origine a nuove linee di cellule staminali. Concettualmente quindi, il prelievo di queste cellule equivale al prelievo di un organo da un soggetto ancora vivo ma in stato di morte cerebrale. Occorre poi ricordare che anche gli embrioni che riprendessero uno sviluppo normale non avrebbero comunque alcuna probabilità di vita senza un utero che li accolga e finora non risultano domande di adozione per alcuno dei circa 30.000 embrioni congelati in Italia. Con una piccolissima parte di questi embrioni si possono derivare molte linee di cellule staminali embrionali con cui studiare a fondo nei prossimi anni la possibilità di impiegarle con successo per la terapia di molte malattie genetiche o acquisite. Se per una data malattia si scoprisse che le cellule staminali “adulte” (quelle derivate o magari mobilizzate dai tessuti del paziente stesso) mostrassero una migliore efficacia terapeutica rispetto alle staminali
embrionali, il discorso sarebbe chiuso. Il contrario potrebbe essere vero per un’altra malattia cui solo le cellule staminali embrionali potessero fornire una cura efficace (a titolo di esempio confrontare i lavori pubblicati di recente sulla produzione di neuroni dopaminergici, necessari per curare il morbo di Parkinson, ottenuti sia da cellule staminali embrionali che adulte. In tal caso si porrebbe il dilemma, al ricercatore prima e al medico poi, se sia lecito sacrificare una vita creata ad hoc per salvarne un’altra, quella di un paziente affetto da una malattia incurabile Si tratterebbe a questo punto di generare per trasferimento nucleare (“clonazione terapeutica”) una struttura umana vivente (attenzione non un embrione). Questo struttura vivente sarebbe sacrificata prima che si impianti nell’utero della madre, per derivare cellule staminali embrionali le quali, avendo lo stesso DNA del paziente, potrebbero formare cellule del cervello, del cuore o del fegato, assolutamente identiche e quindi naturalmente tollerate, senza bisogno di immunosoppressione con tutti i gravi problemi che questa comporta. Alcuni obietteranno a questo punto che per salvare la vita di un paziente se ne sacrifica un’altra. C’è però un’altra considerazione da fare ed è sulle probabilità di vita. Se un embrione naturale ha circa il 30% di probabilità di nascere e quello ottenuto in vitro il 20%, un embrione clonato ha meno di una probabilità su cento di nascere. Questo per i topi, per altri mammiferi ancora meno e si potrebbe arrivare a 0% nei primati visto che finora nessuna scimmia è stata clonata con successo. Se ciò fosse vero, e lo sapremo nei prossimi anni, ne conseguirebbe che la struttura vivente clonata non è un embrione e non solo perché non deriva dalla fusione di uovo e spermatozoo (infatti non sarebbe uno zigote ma, secondo Rudy Jaenisch, un clonote) ma soprattutto perché non ha probabilità alcuna di dare origine ad un nuovo bambino. Se così fosse, dovremmo considerare questa struttura clonata alla stregua di un tessuto, o meglio di molti tessuti in potenza, ma non un individuo e pertanto utilizzarlo come un tessuto nuovo e capace di curare un malato. Questa è ovviamente una posizione parziale, sebbene basata su dati oggettivi e certamente c’è da riflettere su questo punto, ricordando però che il medico ha comunque l’imperativo morale di fornire al paziente consenziente la migliore terapia possibile. Probabilmente, molti anni e molti “se” ci separano da questa possibile e difficile decisione; durante questi anni nuove metodiche e nuove scoperte potrebbero permetterci di superare il problema come accadrebbe se qualcuno riuscisse a derivare cellule staminali embrionali da altre fonti.

Tratto da BIOTECNOLOGIE CELLULARI di Domenico Azarnia Tehran
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