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Test per l'analisi citogenetica

Conseguenze dirette o indirette del danno al DNA possono essere anche rilevate a livello dei cromosomi. L'analisi citogenetica è un metodo molto accurato e affidabile attraverso il quale è possibile identificare e misurare danni genetici indotti da agenti chimici e fisici. Essa viene condotta mediante microscopio ottico o mediante microscopio a fluorescenza se si usa la tecnica dell'ibridazione in situ fluorescente. Tre sono state le più importanti innovazioni tecniche che hanno reso possibile lo studio dei cromosomi metafasici: 1) la scoperta che la colchicina blocca la progressione mitotica allo stadio di metafase, impedendo la polimerizzazione delle tubuline, per cui i cromosomi si bloccano sulla piastra equatoriale; 2) l'utilizzazione dello shock ipotonico per rigonfiare le cellule e permettere ai cromosomi di espandersi ed avere più spazio; 3) la scoperta che la fitoemoagglutinina, una lectina estratta dal fagiolo, stimolava la divisione cellulare permettendo l'osservazione di un numero maggiore di metafasi. La classica analisi in metafase permette l'osservazione di aberrazioni cromosomiche strutturali (AC), numeriche e di scambi tra cromatidi fratelli (Sister Chromatid Exchanges, SCE). Mentre, nell'analisi in interfase appartengono il test del micronucleo (MN) che permette di discriminare fra eventi di rottura e alterazioni numeriche e il test della prematura condensazione dei cromosomi (PCC).
L'ANALISI IN METAFASE
Nelle cellule di mammifero gran parte degli agenti mutageni induce sia aberrazioni cromosomiche strutturali (AC) che scambi tra cromatidi fratelli (SCE). I primi derivano da errori nella riparazione, replicazione e ricombinazione del DNA; si ritiene invece, che i secondi siano prodotti da errori nella replicazione del DNA, probabilmente in prossimità di un blocco temporaneo di una forca replicativa. Un'ulteriore differenza risiede nel fatto che mentre le AC sono spesso associate a morte cellulare perché possono produrre un assetto genetico sbilanciato, gli SCE, anche se presenti con alta frequenza, sono compatibili sia con la vitalità della cellula sia con la sua divisione.
Comunque la scoperta più rilevante per le analisi in metafase fu fatta sicuramente nel 1968 quando fu dimostrato per la prima volta che colorando i cromosomi con chinacrina ciascuno di essi rilevava una struttura con alternanza di zone colorate e non colorate, chiamate bande. Solo due anni più tardi si comprese che l'alternanza di regioni chiare e scure poteva essere utilizzata per identificare ciascun cromosoma.  Sono descritti essenzialmente cinque tipi di bande:
1.bande Q (dal fluorocromo chinacrina): sono spesso usate come bande di riferimento e sono ottenute dopo colorazione con mostarda di chinacrina e osservate in fluorescenza;
2.bande G (dal colorante Giemsa): ottenute dopo trattamento con tripsina e colorate con Giemsa (visione in luce normale);
3.bande R (da reverse, contrario): ottenute dopo denaturazione al calore e la loro localizzazione è opposta a quella delle bande Q e G: dove quest'ultime sono scure, le bande R sono chiare e viceversa;
4.bande C (da eterocromatina costitutiva): sono localizzate nelle regioni pericentromeriche di tutti i cromosomi e nel braccio lungo del cromosoma Y (Yq);
5.bande T (da telomero): evidenziamo le parti terminali (telomeri) di tutti i cromosomi.
Comunque, il bandeggio cromosomico per quanto consenta l'accurata identificazione dei singoli cromosomi, viene usato raramente nei test di mutagenesi, essendo laborioso e richiedendo personale specializzato per la lettura delle metafasi.
L'ANALISI IN INTERFASE ( IL TEST DEL MICRONUCLEO)
Il test del micronucleo utilizza cellule in interfase che sono facilmente analizzabili in elevato numero e in breve tempo, permettendo un rapido screening di un'ampia popolazione cellulare. I micronuclei appaiono nel citoplasma come piccoli nuclei accessori, morfologicamente identici al nucleo principale ma di dimensioni ridotte. Possono essere formati da frammenti che, privi di centromero, non segregano correttamente alla divisione cellulare, o da interi cromosomi i quali, ritardano la migrazione anafasica, restando esclusi dai nuclei principali. Quindi i micronuclei rappresentano un indicatore diretto sia di rottura a livello cromosomico sia di alterazioni dell'apparato del fuso mitotico, e determinarne la frequenza significa valutare il danno cromosomico esistente. Poiché si ritiene che lo stadio ottimale per la visualizzazione dei MN (micronuclei) sia quello tra il completamento della divisione cellulare e la citodieresi, quando le cellule hanno un aspetto binucleato facilmente riconoscibile, si usa un agente denominato citocalasina B, sostanza estratta da un fungo, per bloccare le cellule senza interferire con la divisione nucleare o con l'integrità cromosomica.

Tratto da CITOGENETICA E MUTAGENESI AMBIENTALE di Domenico Azarnia Tehran
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