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La risposta dell’amministrazione Bush agli attacchi dell’11 settembre


In 189 anni di esistenza gli Usa non avevano mai subito attacchi sul loro territorio. Colpiti al cuore, gli Usa si sentirono insicuri e privi di difese e tentarono di reagire impostando una nuova politica estera. Da allora la percezione delle relazioni con i vicini meridionali cambiò.
Pochi giorni dopo l’attacco i ministri degli esteri dei paesi latinoamericani definirono l’attacco dell’11 settembre un colpo sferrato contro tutti gli stati americani. Dichiararono che ogni nazione che aveva sottoscritto l’accordo di Rio nel 1947 si sarebbe impegnata a garantire assistenza agli Usa e avrebbe usato ogni misura per catturare estradare e punire chiunque avesse preso parte agli attacchi. Il trattato del 47 tornava ad essere il fondamento della difesa collettiva. La solidarietà interamericana fu rafforzata dalla firma nel 2002 della Convenzione Interamericana contro il Terrorismo.
Gli attacchi contribuirono a rafforzare i poteri della presidenza sia in politica estera sia in ambito interno. Durante i periodi di pace quando la nazione non ha a che fare con un nemico evidente ogni occupante dell’Ufficio Ovale fa fatica ad adottare politiche aggressive o innovative. I problemi interni tendono a prendere il sopravvento su quelli esterni. La capacità del presidente di convincere le componenti sociali a sacrificare i loro interessi in nome di un obiettivo più importante e in grado di coinvolgere l’intera nazione è limitato.
Una volta che gli Usa furono attaccati Bush riuscì a ribaltare tale status. Il Congresso divenne più cooperativo, l’esecutivo guadagnò più influenza sul potere legislativo e la politica estera balzò al primo posto dell’agenda dell’amministrazione.
All’inizio la risposta americana agli attacchi si concentrò su Al Qaeda e il governo dei talebani in Afghanistan rei di aver dato ospitalità a Bin Laden. Con un nemico come il terrorismo islamico, non associato a un particolare stato o territorio, minacciare una risposta massiccia, magari nucleare contro un soggetto evanescente e disperso sull’intero globo non avrebbe avuto senso.
Bush usò il termine “asse del male” per indicare nazioni come Iran, Iraq, Corea del Nord considerate come possibili minacce di attacchi contro gli Usa tramite armi di distruzione di massa e contigue con il terrorismo fondamentalista.
Dopo gli attacchi a sorpresa giapponesi contro le forze armate statunitensi del 41 Washington aveva sempre deprecato l’eventualità di attaccare senza preavviso un’altra nazione. Gli Usa infatti pur disponendo di un potere immenso non avevano nessun diritto di imporre la loro visione del mondo ma avrebbero agito per sostenere tutti quei paesi che avrebbero compiuto le scelte giuste per i loro popoli.
Le dichiarazioni di Bush furono codificate nel documento NSS2002 (National security council 2002).
Dopo l’11 settembre, i temi della sicurezza e della lotta al terrorismo balzarono al primo posto nelle priorità di Washington.
Per combattere il terrorismo Washington preferì instaurare rapporti diversi con le esistenti democrazie latinoamericane. Prima degli attacchi, l’amministrazione Bush avrebbe voluto concludere un accordo sull’immigrazione con il Messico per permettere il libero afflusso di lavoratori messicani negli Usa e regolarizzare milioni di lavoratori latinos già residenti. Ma la nuova minaccia terroristica costrinse Washington a rafforzare i controlli alle frontiere per prevenire futuri attacchi.
Qualche progresso ci fu ma non nella misura che Fox si attendeva. Bush esentò sia il Messico sia il Canada in quanto cofirmatari dell’accordo Nafta dalle nuove tariffe sull’acciaio che si preparava ad imporre. Poi firmò con Fox un accordo per migliorare le misure di sicurezza nelle oltre 2.000 miglia di confine comune e si accordò per alcune misure volte a facilitare lo scambio commerciale.
Se le relazioni con il Messico furono oggetto di tensioni dovute all’attacco alle torri gemelle e la nuova ossessione statunitense per la sicurezza dei confini, quelle con la Colombia beneficiarono della nuova attenzione statunitense a simili tematiche. Prima dell’11 settembre l’unico modo per il presidente di ottenere dal Congresso aiuti militari per permettere alla Colombia di combattere le guerriglie marxiste della Farc e dell’Eln era affermare che sarebbero serviti per la guerra alla droga e al narcotraffico.  Senza una minaccia globale alla sicurezza, tali informazioni sarebbero state considerate solo un problema interno alla Colombia. Gli eventi dell’11 settembre permisero a Bush di includere le Farc e l’Eln nella guerra al terrorismo.
L’elezione di Uribe alla presidenza della repubblica nel 2002 facilitò tale inclusione delle formazioni paramilitari marxiste.
Uribe aveva perso ogni speranza del processo di pace avviato con le guerriglie del predecessore Pastrana. Decise di migliorare la capacità di reazione dell’esercito e della polizia per affrontare con più efficacia le forza antigovernative. Uribe annunciò che le forze armate avrebbero agito per prevenire gli attacchi dei terroristi marxisti ottenendo da Washington incrementi di aiuti militari.
Insieme allo sviluppo dei temi di sicurezza, la NSS2002 ridiede nuova enfasi anche al miglioramento delle relazioni economiche e commerciali tra Usa e nazioni latinoamericane. Il commercio era più di una questione di efficienza economica, era uno strumento per sostenere i valori della società occidentale.
Il punto di partenza per assicurare il successo del progetto era il Cile. Il paese andino era il primo che aveva iniziato a stipulare accordi bilaterali per abbattere le tariffe e liberalizzare i commerci e il tipo di trattato che gli Usa avrebbero dovuto concludere nel 2002 doveva diventare il modello da seguire per il più generale accordo di libero commercio delle americhe o Ftaa. Ma per far ciò Bush doveva ottenere la Tpa.
Nel 2002 Bush ottenne tale autorità e potè concludere i negoziati con il Cile insieme ad accordi simili con Giordania e Singapore.

Tratto da AMERICA LATINA E STATI UNITI di Filippo Amelotti
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