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La CGIL sulla difensiva


La CGIL arrivò all'autunno caldo senza che la seconda presidenza Costa, concepita per ridare centralità e influenza politica all'organizzazione, avesse sortito gli effetti auspicati. Dopo lo “strappo” delle grandi aziende associate, che durante i primi anni del centro-sinistra avevano condotto politiche autonome di raccordo con i partiti di maggioranza, la CGIL presentava un dualismo interno fra interessi della grande industria e quelli della piccola impresa, In particolare, la piccola impresa osteggiava una forma inedita di concertazione avanzata  dal governo e avvallata dall'impresa pubblica e che era denominata “concertazione programmata”. In tale contrattazione i poteri pubblici potevano giocare un ruolo che la piccola e media industria privata non gradiva perché concepita come una risorsa aggiuntiva a favore del sindacato.
Quando nell'aprile 1968 il CIPE avviò la concertazione programmata essa fu rigettata  dalla CGII ed osteggiata dalla CGIL che non accettava il controllo concertato della dinamica salariale.

L'ultima fase della seconda presidenza Costa coincise con il m omento più aspro dell'autunno caldo: le sconfitte in materia di abolizione delle zone salariali e su quella dei contratti nazionali di categoria, furono l'amara conclusione di una gestione che non seppe innovare ed aggiornare le strutture ed il ruolo della CGIL.

Tuttavia, anche per la CGIL il 1969 esercitò un impulso verso la riforma interna. Un gruppo di giovani  industriali, sostenuti da alcuni .grandi gruppi (FIAT e Pirelli), promossero un'azione di ripensamento dell'organizzazione interna e della collocazione dell'impresa nella società civile. Ne nacque una commissione (in cui lavorarono importanti esponenti del panorama industriale italiano come Agnelli, Pirelli, Cicogna, Gancia) che elaborò il cd Rapporto Pirelli, approvato dall'assemblea dell'aprile 1970. Le finalità di questo testo erano di restituire all'impresa una posizione centrale nell'organizzazione sociale al pari di altre realtà come il sindacato: l'articolato programmatico del documento, investiva il ruolo dell'organizzazione degli imprenditori come mezzo di promozione sociale ed economica del paese.

Durante la s tessa assemblea dell'aprile 1970, fu varata la riforma dello Statuto e Renato Lombardi venne eletto presidente. Le novità dello Statuto erano degli adattamenti ai percorsi istituzionali e contrattuali in atto. Sotto il profilo istituzionale si rispondeva all'applicazione della legge del '63, istitutiva delle regioni a statuto ordinario, attraverso la nascita delle federazioni regionali degli industriali e, a livello centrale, del Comitato per il Mezzogiorno ed il Centro studi.
Sotto il profilo contrattuale si rispondeva alla centralità assunta dalle Federazioni sindacali durante l'autunno caldo, riconoscendo il ruolo delle Federazioni nazionali di categoria come la Federmeccanica.

Il tentativo di Lombardi di aprire un canale permanente di dialogo con le Confederazioni, ebbe un passaggio decisivo con la presentazione del Documento di lavoro nel gennaio 1972.
L'iniziativa era positiva ma aveva delle debolezze. La prima riguardava la stessa industria che era stata messa improvvisamente sulla difensiva dell'esplosione della forza sindacale nell'autunno caldo: si trattava dunque di una proposta che veniva da un soggetto socialmente indebolito. La seconda debolezza era riconducibile all'impostazione generale del documento in questione, nel quale  la CONFINDUSTRIA proponeva di cogestire ciò che il sindacato aveva dimostrato di saper promuovere e sostenere da solo.
Il tentativo di Lombardi, inoltre, si manifestò nel momento peggiore e cioè in una fase difficile e dagli esiti incerti del processo unitario sul quale l'eco della crisi politica (caduta del governo Colombo) si fece sentire.
Gli oppositori interni criticarono duramente la gestione Lombardi.  In particolare, Umberto Agnelli, durante il direttivo della CGII alla fine del 1972, presentò un documento in cui Lombardi veniva   accusato di esercitare una leadership debole, di non essere stato in grado di restituire centralità all'industria nell'organizzazione sociale del paese e, soprattutto, di non aver saputo trovare l'intesa col sindacato nella lotta alle inefficienze del sistema pubblico, finanziario e distributivo. Si giunse così alla costituzione della Commissione Giustino per l'ulteriore riforma dello Statuto. Tale commissione propose l'accelerazione della formazione delle associazioni verticali; la costituzione di focus groups per approfondire i singoli problemi; il rafforzamento della leadership con la creazione di un solo vicepresidente e di esecutivo ristretto.
Nella primavera del 1974, in virtù di una votazione plebiscitaria, Giovanni Agnelli divenne presidente della CGIL: gli industriali italiani facevano appello al loro esponente di maggior prestigio per tentare di recuperare una situazione che aveva visto l'accumulo di motivi di crisi interna ed esterna.

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