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La marcia dei "40.000" della Fiat


Dopo la fine della solidarietà nazionale, la CGIL entrò in una fase oscillante e d'incertezza sulla quale gravò il freno del PCI. Un esempio di questa situazione fu la questione del fondo di solidarietà. Si trattava della proposta di Carniti di prelevare lo 0,50% dai salari da destinare a sostegno dello sviluppo del Mezzogiorno. La proposta, recepita dalla CGIL, fu approvata dal governo Cossiga nel luglio '80. Il PCI si oppose drasticamente impedendo che il provvedimento andasse in discussione alla Camera.

Le più note vicende: il conflitto con la FIAT nell'ottobre 1979 per il licenziamento di 61 dipendenti sospettati di collusione col terrorismo e nel settembre 1980 per il licenziamento di 14.469 lavoratori, sono riconducibili ai canoni tradizionali del conflitto industriale. Il secondo evento, per gli esiti che ebbe e per il fatto che si svolse nell'azienda leader dell'industria privata italiana, ha valore paradigmatico.
La lunga vertenza iniziò subito dopo l'annuncio dei licenziamenti (da parte dell'amministratore delegato della FIAT, Cesare Romiti) il 10 settembre e durò fino al 15 ottobre. Durante quei giorni ci furono due eventi che ebbero conseguenze sulle vicenda: il 26 settembre, il segretario del PCI Enrico Berlinguer dichiarò davanti ai cancelli della FIAT che avrebbe appoggiato l'eventuale occupazione della fabbrica; il 27 settembre, il governo Cossiga cadde per la bocciatura da parte della Camera della manovra finanziaria.
A questo punto il sindacato sospese lo sciopero generale previsto per il 2 ottobre e la FIAT convertì i licenziamenti nella CIG a zero ore per 36 ore per 23.000 dipendenti. Il lungo conflitto ebbe un drastico epilogo il 14 ottobre quando migliaia di quadri FIAT (si parlò di 40.000 persone) sfilarono per le strade di Torino con una manifestazione di condanna della linea tenuta dal sindacato nella vicenda: il personale qualificato contestava la linea e la rappresentatività delle Confederazioni.
Il giorno dopo Lama, Carniti e Benvenuto presero atto della sconfitta sottoscrivendo l'accordo che accoglieva tutte le richieste FIAT.
Quando l'anno dopo Romiti decise di chiudere la fabbrica storica del Lingotto, il sindacato subì senza reagire.


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