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Il metodo morelliano di Wickoff


Da Thausing, Wickoff ereditò pure il metodo morelliano. Giovanni Morelli era medico, patriota e conoscitore della pittura antica italiana. Sosteneva che le fonti e i mezzi esterni sui quali abitualmente si sforzano gli storici dell'arte sono inutili, perchè privi di oggettività e di certezza. Non c'erano prove sicure e ciò che sembrava oggettivo era di solito inficiato dalla personale sensibilità estetica del critico. I documenti scritti  potevano essere erronei, o falsamente interpretati. Lo studio della tecnica era infido perchè non si sapeva ricostruire lo stato originario e autentico del testo in esame. Morelli, influenzato dalla più moderne teorie positivistiche, suggeriva al critico di sospendere il giudizio soggettivo fondato su elementi esterni all'opera (composizione, colore, espressioni) e soffermarsi invece su peculiari aspetti interni: studiare analiticamente i particolari anatomici del testo figurativo, dice, era fondamentale, perchè orecchie, mani, unghie, bocche, capelli, ma anche forme del paesaggio e delle vesti, dei panneggi, se paragonati con opere certe di un determinato artista, potevano portare ad individuarne la paternità. Ognuno ha una sua calligrafia pittorica e così la si decodifica.
Morelli riteneva perfetto per il suo metodo soprattutto l'analisi dei disegni antichi. Rispetto ad un dipinto di solito è meglio conservato e il segno grafico lascia intendere di più dell'autore di un segno pittorico.
Arte contemporanea. Ebbe notevole sensibilità per l'arte a lui contemporanea. Nel 1900, quando Klimt presentò i primi dipinti per la decorazione dell'Aula Magna dell'Università di Vienna, nacquero aspre polemiche. Wickoff ne prese le difese e lanciò una conferenza dal provocatorio titolo: Cosa è il brutto? Wickoff sosteneva la tesi del relativismo delle categorie di bello e brutto, che non può più basarsi sulla visione classicista di armonia e proporzione, ma va studiata in rapporto alla cultura e alle proposte di innovazione linguistica degli artisti.

Tratto da STORIA E CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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