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Specialismo e divulgazione


La tesi di Vergata è: il linguaggio tecnico è spesso più tecnico del necessario. Il tecnicismo esasperato non è effetto della necessità di usare un linguaggio preciso; è figlio si della specializzazione ma un figlio malformato a causa di una malattia comune a specialisti e non specialisti che possiamo chiamare complicazionismo o difficilosi. Il tecnicismo ne è un sintomi, ma le cause sono diverse. Del tecnicismo siamo tutti quanti vittime e colpevoli, anche fuori dall'ambito strettamente scientifico-tecnico. Vergata si dissocia nel dare rimedi in quanto sostiene che ci sia poco da fare, almeno nell'immediato, si può solo acquisire una sensibilità individuale alle brutture e servirsene per fare le proprie scelte, per il resto succeda che può.

Il linguaggio difficile e oscuro è oggetto da sempre di esecrazioni e prese in giro (vedi i film di Totò). “Contestualmente saranno storicizzati i prodotti già in essere” È comunicare questo? Sembra che il mondo intorno a noi sia animato da una frenesia di ricerca della complicazione. E che la complicazione sia camuffata da precisione e da innovazione non fa che aggravare le cose. Anche qui l'esperienza di ognuno può fornire esempi a iosa! Da questi e altri esempi, si ricava facilmente la morale che ispira questo modo di parlare: mai dire con una parola quello che si può dire con quattro, questa sembra una regola a cui tutti si sentono in dovere di attenersi scrupolosamente, TUTTI si, in quanto questa morale non vige solo fra tele giornalisti, vigili e carabinieri, bancari, fiorai, ferrovieri, filosofi: vige universalmente. In molti casi non è possibile tradurre questo linguaggio in lingua umana: è bacato il pensiero, non la forma. Certe cose nascono storte e non possono più essere raddrizzate: non dovrebbero proprio essere pensate, insomma. I colpevoli non lo fanno apposta: non sanno quello che fanno, non parlano male perché non vogliono comunicare, tutt'altro, credono di essere precisi, moderni, tecnici e efficienti.

Viviamo in un paese in cui a scuola non si viene abituati alla chiarezza e alla concisione, quindi anche involontariamente si tende a scrivere oscuro per abitudine, anzi proprio perché cerca di essere preciso, conformemente ai modelli che la scuola, la società, i colleghi, ecc gli hanno imposto mediante vere e proprie pratiche di iniziazione così efficaci da fargli il lavaggio del cervello e da distruggere il buon senso. Non dimentichiamo mai quanto sia pericolosa la ricerca ossessiva della precisione a opera di persone che pensano male!

I gerghi tecnici non sono altro che la ciliegina sulla torta della complicazione! Come non meravigliarsi che i cittadini sentano come un mondo alieno quello della legge o della medicina o della scienza. Una cosa è la difficoltà oggettiva dei concetti e dei termini, tutt'altra cosa è la scelta di un registro comunicativo fatto per respingere; non si tratta di sostituire termini con perifrasi termini come RNA messaggero, palindromo e quant‘altro, si tratta di usarli in un contesto chiaro e accessibile, che concentri la difficoltà ove è necessario. La comunicazione oscura è inammissibile anche fra addetti ai lavori: chi si abitua a tecniche e al difficile ne resta prigioniero, e il suo cervello si impoverisce. L'adeguamento a standard internazionali di precisioni allo scopo di facilitare la comunicazione oltre l'ostacolo delle lingue non è una giustificazione valida (vedi ad es. il termine fecondare sostituito con fecondazione, hanno uguale significato, ma per attrazione e similitudine all‘inglese così han deciso, e per il piacere di sentirsi moderni ovviamente).

L'Italia è piena di tecnici che non sono in grado di sostenere una conversazione in lingua straniera ma infarciscono il loro gergo di parole straniere che non sanno nemmeno pronunciare. Qui sono in gioco fattori come la sciatteria, il provincialismo, il senso di casta e anche una sorta di pensiero magico (dare un nome a una cosa vuol dire possederla, cambiarle nome significa trasformarla e rafforzarne il possesso).
Un esperto non è necessariamente una persona capace di spiegare, anzi, spesso non lo è affatto, e proprio perché è un esperto. Nel suo orizzonte mentale appare naturale quello che al profano appare incomprensibile, non sente il dovere di uscirne per entrare in quello di chi ascolta (orizzonte mentale) e poi rientrare nel proprio e così facendo per tutta la durata della conversazione, NO, quando rimane nella propria gabbia l'esperto credi di comunicare ma in realtà officia un rito e parla a se stesso.

In molti casi il linguaggio non serve a comunicare, ma a escludere. Michel Foucault parlava di meccanismo di esclusione dal discorso: il linguaggio inutilmente, falsamente tecnico è un linguaggio di sopraffazione, serve a mantenere il predominio di una casta, nonostante le buone intenzioni di chi lo usa. Al tempo stesso i meccanismi di esclusione rafforzano ritualmente un'identità, è come se chi parla si riferisse più che al pubblico a se stesso e si ripetesse “io appartengo a tale gruppo, ne parlo il gergo, poiché parlo così sono degno di farne
parte”. Il linguaggio assicura un'identità al prezzo di molte esclusioni.


Tratto da BIOETICA E MASS MEDIA di Marianna Tesoriero
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