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Il nuovo accordo sul capitale (NAC)


Una volta in grado di stimare l’effettivo assorbimento di capitale connesso al grado di rischio delle singole esposizioni, numerose banche internazionali hanno cominciato  a cedere le esposizioni caratterizzate da un rischio effettivo inferiore al requisito patrimoniale e ad aumentare le esposizioni nei confronti di soggetti a rischio elevato ma con ponderazione per il rischio ridotta. Le conseguenze di queste operazioni sono certamente poco gradite alle autorità di vigilanza: per effetto di un provvedimento di vigilanza le banche cedono gli assets di buona qualità e comprano assets di cattiva qualità. Di qui l’urgenza di una riforma. Vi sono inoltre due problemi di una certa rilevanza. Il primo è legato alla crescente complessità dei portafogli finanziari negoziati dalle grandi banche internazionali e dei connessi profili di rischio. Il secondo riguarda la conseguente difficoltà di formulare uno schema unico, fondato su semplici regole quantitative di patrimonializzazione minima, che consenta di determinare in modo uniforme un sistema prudenziale adatto a tutte le banche. Per questi motivi, il Comitato di Basilea ha lavorato a un Nuovo Accordo sul Capitale il cui obiettivo principale fosse quello di avvicinare i criteri di determinazione dei requisiti patrimoniali ai modelli di misurazione del rischio di credito adottati dalle banche. Il nuovo schema di adeguatezza patrimoniale, inizialmente reso pubblico nel 2001 e sottoposto poi a delle modifiche sfociate nella versione del 2004, si basa su tre pilastri:
1. un nuovo sistema di requisiti patrimoniali
2. una valutazione dei sistemi di controllo dei rischi e delle politiche di adeguatezza patrimoniale da parte delle autorità di vigilanza nazionali
3. un uso più efficace della disciplina di mercato

Per ciò che riguarda il primo pilastro, il Comitato propone due approcci. Il primo, definito standardised, i fonda sull’utilizzo di rating esterni come quelli prodotti dalle agenzie di rating. Il secondo approccio apre invece la strada alla possibilità di utilizzare, previa validazione da parte delle autorità di vigilanza nazionali, i sistemi di rating interni sviluppati dalle stesse banche. I sistemi di rating interi raggruppano le esposizioni creditizie in classi di rischio omogenee alle quali si associa un determinato requisito di capitale regolamentare. Per utilizzare l’approccio di rating interni le banche devono soddisfare una serie di requisiti minimi. Poiché i requisiti sono di tipo qualitativo, le autorità di vigilanza nazionali dovranno valutarne l’osservanza per definire quali banche potranno adottare il nuovo approccio. Tra i criteri vi sono:
• la banca deve avere un sistema che sia in grado di differenziare i prenditori e i prodotti in gruppi che hanno un livello simile di rischio di credito
• le esposizioni creditizie devono essere distribuite tra le varie classi di rischio
• il rating deve essere assegnato prima che sia stato preso l’impegno di prestito e deve essere rivisto periodicamente da un’unità indipendente
• l’input minimo che ciascuna banca deve fornire è costituito dalla stima della probabilità di default a un anno relativa a ciascuna classe di rischio
• la banca deve avere un sistema di rating two-dimension, ossia attribuire una valutazione distinta alla probabilità di insolvenza e al tasso di recupero

I requisiti minimi  del sistema IRB sono:
PD: la probabilità di default del prenditore
LGD: la perdita in caso di default
EAD: l’esposizione al rischio in caso di default
M: la durata dell’operazione di finanziamento

Nell’approccio Foundation, i parametri LGD, EAD, e M sono forniti direttamente dalle autorità di vigilanza, mentre nell’approccio Advanced è lasciata alle banche la possibilità di fornire le proprie stime su questi tre parametri ( che saranno soggette a verifica e validation da parte delle autorità di vigilanza). Per ogni esposizione, la ponderazione a rischio è, quindi, funzione di queste variabili.
Una modifica importante introdotta dal Comitato di Basilea è quella relativa alla distinzione fra perdita attesa (EL) e perdita inattesa (UL). Nella prima versione delle proposte del comitato il requisito patrimoniale era stato calibrato in modo da offrire copertura per entrambe le componenti. I modelli interni delle banche si basano sulla stima disgiunta di una perdita attesa, la quale deve trovare copertura in un apposito accantonamento o in una rettifica della relativa posta attiva, e di una perdita inattesa, la quale deve invece trovare copertura in capitale economico, ossia in patrimonio. Nella versione finale del 2004 il Comitato ha annunciato di voler modificare la funzione di ponderazione in modo da calibrare il requisito patrimoniale sulla sola componente di perdita inattesa. In pratica ciò significa che nell’approccio di rating interni la componente di perdita attesa è stata rimossa dalla funzione di ponderazione per il rischio. Tuttavia, le banche saranno tenute a confrontare i propri accantonamenti a riserva per rischio di credito con la componente di perdita attesa del proprio portafoglio. Se la differenza fra le due componenti fosse negativa, ossia se gli accantonamenti risultassero inferiori alla perdita attesa, questo deficit verrebbe dedotto in misura paritetica dal patrimonio di base e da quello supplementare. Se invece la differenza fosse positiva, questo eccesso di accantonamenti verrebbe, fino a un importo massimo pari allo 0,6 % del totale delle attività ponderate per il rischio.

Tratto da CORPORATE E INVESTMENT BANKING di Alessandra Depaola
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