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Il diritto alla libertà religiosa nella Costituzione italiana


Con l’avvento della Costituzione repubblicana l’ordinamento italiano ha garantito a tutti gli individui la piena libertà di avere le proprie opinioni in materia religiosa, di professare una religione e di diffonderla; ed a tutti i fedeli, la piena libertà di culto (art. 19 cost.).
Deve notarsi che l’art. 19 cost. esplicita il diritto di libertà religiosa come “diritto soggettivo complesso”, costituito da un insieme di facoltà, le quali rappresentano “un mezzo endogeno di tutela dell’interesse individuale” e consentono l’esplicazione de attività diverse.
La libertà religiosa deve essere ritenuta diritto “universale”, nel senso logico della quantificazione universale della classe dei soggetti che ne sono titolari.
Di più: è un diritto che compete sia ai singoli sia ai gruppi sociali.
La libertà religiosa è ritenuta generalmente un diritto indisponibile, inalienabile, inviolabile, intransigibile e personalissimo.
In questa prospettiva è indubitabile che alla libertà religiosa corrispondono divieti e obblighi a carico dello Stato, la cui violazione è causa di invalidità delle leggi e degli altri provvedimenti pubblici e la cui osservanza è al contrario condizione di legittimità dell’esercizio dei pubblici poteri.
Si suole dire che il diritto di libertà religiosa è un diritto pubblico subiettivo, nel senso che può essere azionato nei confronti dello Stato, per cui si potrebbe adire l’autorità giudiziaria ordinaria per far dichiarare la illegittimità del provvedimento limitativo.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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