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La libertà religiosa nei rapporti tra privati


Per ciò che attiene infine al diritto di famiglia, occorre ricordare che l’originario art. 147 c.c. imponeva ai genitori di impartire ai propri figli una educazione e una istruzione “conformi ai principi della morale”: il contenuto della norma è stato modificato dalla l. 151/75, che impone ad entrambi i coniugi di “mantenere, educare ed istruire la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle ispirazioni dei propri figli”.
Pur non menzionandosi nella norma l’educazione in materia religiosa, è chiaro che i genitori sono liberi di educare i propri figli a questa o a quella religione o all’ateismo: però questo è soltanto un avviamento, in quanto i figli hanno la massima libertà di scegliere la religione da professare anche prima del compimento del 18° anno di età.
A norma dell’art. 316 c.c., entrambi i genitori possono impartire l’educazione religiosa ai propri figli: nel caso in cui i genitori siano separati e in disaccordo sulla scelta religiosa da presentare ai propri figli, sarà competente il Tribunale per i minorenni a dirimere la controversia tenendo conto dell’esclusivo interesse del minore.
Infine, in tema di separazione personale tra coniugi, il mutamento di fede religiosa, connettendosi all’esercizio dei diritti garantiti dall’art. 19 cost., non può di per sé solo considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che non vengano superati i limiti di compatibilità con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore fissati dagli artt. 143 e 147 c.c.
Un altro settore di interesse concerne i rapporti di lavoro.
Esistono delle norme che hanno tolto ogni dubbio circa l’illiceità delle discriminazioni religiose e della limitazione della libertà religiosa nel rapporto di lavoro subordinato (artt. 8 e 15 St. lav.; art. 43 d.lgs. 286/98; d. lgs. 216/2003).
In forza di tali norme viene ad individuarsi tutta una serie di divieti gravanti sul datore di lavoro:
- il divieto di porre in essere prescrizioni limitative delle facoltà promananti dal diritto di libertà religiosa del prestatore;
- il divieto di indagare sulla fede religiosa del soggetto con cui si intende contrarre;
- il divieto di trattare un prestatore in maniera differenziata rispetto ad altri per motivi esclusivamente attinenti alla fede da costui professata (o non professata);
- il divieto di ogni licenziamento determinato dall’appartenenza (o non appartenenza) del prestatore ad un gruppo confessionale;
- il divieto di sottoporre a conseguenze pregiudizievoli il lavoratore subordinato, che rifiuti di tenere comportamenti contrari ai dettami della legge della propria coscienza o intenda seguire, nella vita extralavorativa, comportamenti conformi o contrari a determinati precetti confessionali; a meno che tali comportamenti determinino una funzione ostativa rispetto alla regolarità ed alla continuità del rapporto di lavoro.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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