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L'oggettività irreale di Il re dell'anima



L’ultimo caso a cui accenneremo ha invece un riscontro puntuale nel nostro film, e lo ha anzi nel suo frammento più caratteristico: quell’inquadratura a piombo che fa delle ragazze in piscina una figurazione del tutto astratta.
La sua struttura è certo quella dell’oggettiva, ma la perversione cui è sottoposta l’asse di ripresa – le cose slittano dal di fronte al di sotto; la frontalità diventa perpendicolarità – porta allo scoperto l’equilibrio su cui questa costruzione riposava: l’agire dell’enunciatore e dell’enunciatario viene in primo piano, pronto all’evidenza anche se non all’esibizione “sono proprio io che guardo, e proprio te faccio guardare”; di fronte alla stranezza del risultato non solo si risale al presupposto, “c’è chi guarda”, ma si individua anche il senso di un rapporto, “se tu vedi, è grazie a me”: insomma, l’enunciatore e l’enunciatario arrivano a vantare la loro complicità.
Dopo avergli assegnato delle possibilità, e dopo aver constatato che equivalgono alle proprie, l’enunciatore può proporre all’enunciato una scambiabilità di posti: “ciò che tu vedi, grazie a me, è ciò che solo io posso vedere: quindi noi vediamo”; accanto al “come se lui fosse me” dell’interpellazione e accanto al “come se lui fosse te”, abbiamo adesso il “come se tu fossi me”: un’equivalenza in cui l’enunciatario rinuncia alla propria competenza per calarsi in quella dell’altro, o meglio in cui si riduce a pura facoltà del vedere, a sguardo senza collocazione.
Resta da ricordare che le grammatiche tradizionali hanno talvolta riservato a inquadrature come quella che ci è servita da esempio il nome di “oggettiva irreale”
Arrestiamo qui l’analisi. Che dire della tipologia che si è venuta componendo?
Essa può servire a ridefinire alcune categorie ancor oggi assai usate. Le ripartizioni messe a punto dalle grammatiche tradizionali, che partivano da una domanda di per sé corretta – “chi guarda chi?” – non ne tiravano tutte le conseguenze:
- da un lato perché facendosi esclusivamente carico del problema del possesso dello sguardo operavano su di un criterio unico – l’attribuzione dell’inquadratura agli occhi di qualcuno – e su un criterio parziale – dimenticando che c’è sempre chi guarda, anche se non narrativizzato –,
- dall’altro lato perché avendo in mente l’inquadratura lavoravano su di un’unità tecnica e non su di un’unità testuale

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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