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Le decisioni sulla competenza e le sentenze non definitive su questioni pregiudiziali di rito e/o di merito


È possibile soffermarci ora sul contenuto e sulla forma dei provvedimenti del giudice diversi da quelli meramente ordinatori ed istruttori di cui in gran parte si è già detto.
Questi provvedimenti possono essere distinti a seconda che siano definitivi o non definitivi, abbiano contenuto di merito o di rito, siamo cagionati dall’insorgere e dalla decisione di una questione pregiudiziale di merito o di rito astrattamente idonea a definire il giudizio ovvero siano emanati ad istruzione esaurita.
I dati normativi da cui occorre partire, ovvero con cui qualsiasi interpretazione è costretta a fare i conti, sono costituiti:
- dall’art. 4204 c.p.c. secondo cui il giudice, dopo il fallimento del tentativo di conciliazione e prima dell’inizio dell’istruzione, “invita le parti alla discussione e pronuncia sentenza anche non definitiva dando lettura del dispositivo”:
- se “ritiene la causa matura per la decisione”;
- se “sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione può definire giudizio”;
- L’art. 4204 c.p.c. fa sorgere due problemi: il primo attiene a cosa debba intendersi per “altre questioni pregiudiziali”; il secondo attiene al se il giudice, all’insorgere di questioni di tale natura, abbia il dovere di decidere immediatamente con sentenza ovvero, specie ove le ritenga infondate ad una prima delibazione, possa accantonare e deciderle ad istruzione completata;
- dall’art. 427 c.p.c. alla cui stregua il giudice, se rileva che una causa promossa con le forme del rito speciale riguarda un rapporto diverso da quelli previsti dall’art. 409 c.p.c. e la causa rientra nella competenza di altro giudice, “la rimette con ordinanza al giudice competente”;
- nulla, invece, gli artt. 409 ss. c.p.c. dispongono in ordine all’impugnabilità immediata o no delle sentenze non definitive, anche se nell’art. 4204 c.p.c. si prevede esplicitamente la possibilità di emanazione di sentenze anche non definitive.

Il legislatore del 1973 aveva indubbiamente di mira la realizzazione di un processo quanto più possibile concentrato: ed a tale scopo, a livello di intenzioni, voleva per un verso semplificare la disciplina della competenza, per altro verso evitare che anche nel nuovo rito potessero proliferare sentenze non definitive.
È però altrettanto certo che il medesimo legislatore non ha avuto la capacità di individuare i problemi tecnici sottesi a queste sue “buone” intenzioni e conseguentemente non è riuscito a proporre soluzioni normative idonee a realizzarle.
Il che non vale però ad eliminare del tutto il valore “normativo” di tali intenzioni: infatti esse restano pur sempre come indicazioni rivolte al giudice, nel senso che questi dovrà cercare di adoperare tutti i margini di discrezionalità nel senso di evitare che il proliferare delle sentenze non definitive comporti un attentato all’esigenza di concentrazione del processo.

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