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Napoli ai tempi del Tasso


Al nascere del Tasso nella vicina Sorrento, nel 1544, già Napoli non era più la “Napoli gentile” della seconda metà del secolo precedente. Era la Napoli-metropoli : tumultuosa, congestionata, rumorosa, generosa, orgogliosa della sua nobiltà.
Già a metà del sec XVI questa trasformazione era già decisamente avviata.
Allora Benedetto di Falco e Giovan Battista del Tufo echeggiavano vivamente la memoria della “Napoli gentile”.
Di Falco vedeva il viceré Pietro di Toledo come diretto prosecutore dell’azione e della tradizione aragonese che aveva fatto di Napoli la città gentile. Più tardi la tradizione aragonese sarebbe stata riproposta negli anni ’60 del sec XVII col viceregno di don Pietro Antonio d’Aragona; infatti il poema del famoso Velardiniello in un passo cita che Napoli era “ corona quando regnava Casa d’Aragona” anche se l’azione di Pietro ebbe scarsa risonanza e prosecuzione.
Velardiniello fornisce nel suo poema elementi politico-istituzionali e sociali congruenti con la storia complessiva di Napoli. Egli si lamenta che la città sia finita in mano ai “patrizi usurai” e per questo non è più gentile. Da qui si segnala un peggioramento nella condizione civile della città attribuito alle prevaricazioni della nobiltà e del suo malgoverno finanziario.
Non mancano in Velardiniello accenni alla cresciuta pressione del governo regio e agli arbitrii dei togati. Non risparmia nemmeno la Sommaria ossia l’organo centrale dell’amministrazione finanziaria del Regno.
Tutto ciò è un espressione di disagio e di dissenso sociale, ma ben lontani dalla fama e reputazione che Napoli aveva in Europa, diventando nel XVII sec il luogo canonico nella letteratura del grand tour.
E in questo contesto è importante un testo testimone della nuova cultura  napoletana: è Il Forastiero del Capaccio (1634).
In esso troviamo la canonizzazione della autobiografia letteraria della città. Nel Capaccio l’onomasticon letterario napoletano comprende Sannazzaro, Pontano, Rota, e anche il Tasso, e inoltre il contemporaneo Marino e Giovan Battista Basile.
Capaccio poi definiva Napoli “madre degli studi” :diritto, medicina, filosofia, scienza, arti, e musica.
Per quanto riguarda la filosofia, si è potuto parlare di una “forte discussione” del XVI sec e non fu impedita neanche dalla repressione del viceré Toledo che chiuse le accademie e il circolo valdese di Giulia Gonzaga.
Di fatto sotto l’azione del viceré il clima culturale napoletano si fece pesante ma nonostante cio la discussione filosofica andava avanti.
Fra il 1565 e il 1586 il “ De rerum natura” telesiano conobbe la fortuna di quattro edizioni ma anche un fuoco polemico che giovò al pensiero dell’autore. Tra il 1557 e il 1588 Gianbattista della Porta rielaborava la “Magia naturale”; e si sa, il suo nome voleva dire astrologia magia e curiosità scientifica.
Telesio ebbe i suoi seguaci; anche Della Porta ebbe i suoi (Imperato- Istoria naturale/1599).

Tratto da NAPOLI CAPITALE di Stefano Oliviero
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