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Sulla misurazione e gestione del rischio di credito negli istituti finanziari

L’attuale fase di ristrutturazione del sistema creditizio accresce la centralità dell’attività di erogazione del credito, ma anche le incertezze e le insidie che questa attività comporta. Da un lato, infatti, le banche tradizionali scontano in misura sempre più marcata la concorrenza di altre categorie di intermediari nella gestione del risparmio e persino dei servizi di pagamento; di conseguenza, la concessione dei prestiti (in particolare a clientela di medie dimensioni) rimane forse l’unica area di business in cui il primato delle banche (forti di una conoscenza del tessuto economico locale non facilmente replicabile da parte di un outsider) non possa essere facilmente insidiato.
Dall’altro, la graduale crescita del ruolo del mercato dei capitali tra le fonti di finanziamento delle imprese porta con sè un rischio di “selezione avversa” negli attivi bancari: infatti, mano a mano che le imprese di dimensione medio grandi andranno conquistandosi la possibilità di negoziare azioni e debito direttamente presso i risparmiatori, il portafoglio crediti delle banche potrebbe polarizzarsi sulle imprese che il mercato non è in grado di valutare autonomamente, cioè le più piccole, le più rischiose, le meno trasparenti nel rappresentare le proprie strategie di crescita. Questi aspetti hanno fatto in modo che, negli ultimi anni, l’attenzione circa la gestione dei portafogli dei crediti delle banche si incentrasse verso nuovi sistemi di prevenzione del rischio di credito, sviluppando nuove tecniche di misurazione e gestione del rischio di credito alternative a quelle utilizzate in passato per calcolare il rischio di mercato (duration e convexity) che si basassero oltre che su una stima monetaria del rischio su una quantificazione dell’esposizione globale di un soggetto (la banca) alle varie forme di rischio.
La prevenzione del rischio di credito determinatosi da queste nuove tecniche di gestione del rischio può avvenire a due distinti livelli. Da un lato, si tratta di intervenire sulle caratteristiche delle singole esposizioni per ridurre l’entità delle perdite che potrebbero scaturire da ognuna di esse. Dall’altro, è altresì necessario intervenire sulla struttura complessiva del portafoglio crediti della banca, per mantenerne sotto controllo il grado di diversificazione.
A livello di singolo prestito, la banca può tutelarsi contro le perdite future attraverso un’accorta selezione dei prenditori di fondi, così da isolare e respingere quelli contraddistinti da una più elevata probabilità di insolvenza; può inoltre strutturare la singola operazione di credito apponendo clausole accessorie o richiedendo garanzie che consentano di limitare le perdite anche in presenza di un dissesto del debitore; infine, nel caso di linee di credito revocabili, può ridurre l’esposizione a rischio in presenza dei primi segnali di deterioramento del merito creditizio della controparte. A livello di portafoglio, è necessario perseguire un’effettiva diversificazione del rischio ripartendo il credito tra controparti distinte e scarsamente correlate tra loro, ed è su questo secondo aspetto che si baserà il lavoro di tesi attraverso lo studio del modello del value at risk,VaR, che misura la massima perdita potenziale associata ad un portafoglio di attività finanziarie dato un livello di confidenza e un orizzonte temporale stabilito. La metodologia di gestione del rischio di credito non può ovviamente eliminare i rischi impliciti nell’attività di prestito, la cui presenza rappresenta, in ultima analisi, la stessa ragion d’essere dei banchieri. Tuttavia, deve mirare a dare una rappresentazione quanto più possibile precisa dei rischi impliciti nelle singole operazioni di prestito e nella struttura complessiva del portafoglio crediti.
In particolare, un buon modello di gestione del rischio di credito deve stimare la distribuzione delle perdite (o comunque delle minusvalenze) che potrebbero originare dai prestiti attualmente in essere, specificando le probabilità associate alle diverse previsioni (più o meno ottimistiche) di perdita. Lo scopo del VaR è proprio quello di fornire al trader e al risk manager una misura sintetica dei rischi di mercato che sono associati ad una certa posizione.

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I Introduzione. L’attuale fase di ristrutturazione del sistema creditizio accresce la centralità dell’attività di erogazione del credito, ma anche le incertezze e le insidie che questa attività comporta. Da un lato, infatti, le banche tradizionali scontano in misura sempre più marcata la concorrenza di altre categorie di intermediari nella gestione del risparmio e persino dei servizi di pagamento; di conseguenza, la concessione dei prestiti (in particolare a clientela di medie dimensioni) rimane forse l’unica area di business in cui il primato delle banche (forti di una conoscenza del tessuto economico locale non facilmente replicabile da parte di un outsider) non possa essere facilmente insidiato. Dall’altro, la graduale crescita del ruolo del mercato dei capitali tra le fonti di finanziamento delle imprese porta con sè un rischio di “selezione avversa” negli attivi bancari: infatti, mano a mano che le imprese di dimensione medio grandi andranno conquistandosi la possibilità di negoziare azioni e debito direttamente presso i risparmiatori, il portafoglio crediti delle banche potrebbe polarizzarsi sulle imprese che il mercato non è in grado di valutare autonomamente, cioè le più piccole, le più rischiose, le meno trasparenti nel rappresentare le proprie strategie di crescita.

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Informazioni tesi

  Autore: Ferdinando Barbati
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Ivar Massabò
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 98

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