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Non ho mai visto nulla di simile! - Percorsi tra i miti del cinema di fantascienza

Il compito inseguito in questo mio lavoro è quello di costruire un modello per le figure tipiche del cinema di fantascienza. Per questo ho fatto tesoro del metodo seguito da Claude Levi-Strauss nei suoi lunghi studi sul mito delle culture americane. Ho cercato di tirare fuori da alcuni film le immagini ricorrenti, per elaborare un modello che funzioni come una mappa geografica di orientamento, per ritrovare gli elementi tipici del cinema di fantascienza.
Sei sono i film presi in considerazione, usciti nelle sale in decenni diversi, cercando di coprire il primo secolo di vita della macchina cinematografica. "Le voyage dans la lune" (1902) di Georges Méliès, "Metropolis" (1926) di Fritz Lang, "Il mostro della lauga nera" (1954) di Jack Arnold, "Il Dottor Stranamore" (1963) e "2001: odissea dello spazio" (1968) entrambi di Stanley Kubrick - la scelta caduta su due film dello stesso regista è casuale essendo una selezione operata sui film e non sugli autori - e per chiudere "Fino alla fine del mondo" (1991) di Wim Wenders.
Il titolo "Non ho mai visto nulla di simile!", da solo concentra due intenzioni fondamentali del cinema di fantascienza, intenzioni che poi si rivelano fondamentali anche per tutta quanta la macchina cinematografica.
Innanzi tutto la fantascienza, prima in letteratura e poi nel cinema, ha sempre costruito la sua forza sulla composizione di immagini meravigliose, fantastiche. I vari personaggi sono alla continua ricerca di immagini inedite, paesaggi in continua trasformazione. E questo è il desiderio anche dello spettatore: spente le luci in sala, questi attende ingordo il suo pasto di immagini "meravigliose". D'altronde la stessa proiezione cinematografica può considerarsi una "magia".
L'esperienza di trovarsi in una sala buia di un cinema sembra simulare l'attività onirica e la sottile membrana che divide il sogno dal reale si è dileguata nel nulla. E quale genere cinematografico più di quello di fantascienza potrebbe soddisfare al meglio questa esigenza?
Un'altra intenzione, conseguente alla precedente, riguarda il semplice piacere di vedere. Un piacere che appare materializzato nei nostri sei film. Come dimenticare l'occhio della borghesia di Yoshiwara che avidamente spoglia la falsa Maria, oppure quello di Hal, attento indagatore delle mosse dei suoi compagni di viaggio? Si può essere anche puniti per aver osato di "vedere" troppo, come la luna di Méliès colpita in un occhio da un razzo, o il Mostro della laguna nera contro i cui occhi viene lanciata una lampada a petrolio, soltanto per aver visto le movenze erotiche di Kay mentre nuota. O Claire e Sam che rischiano entrambi la cecità per aver registrato troppe immagini. L'esagerazione viene sempre punita. In 2001, lo spettatore ritrova quasi una sicurezza dagli sguardi delle navicelle, del feto e degli astri. "Loro", forse di extraterrestri, lo sanno e per far impazzire "noi" poveri ingenui, non hanno dotato il monolito di occhi propri. Ma, non per questo, rinunciando al grande potere ipnotico. Attenti! Le radiazioni vigileranno sempre su di voi!
E poi c'è il silenzio. La pura visione non ha bisogno di parole. Al termine del meraviglioso percorso del vedere segue sempre il silenzio nella sua accezione quasi mistica: quello del fondale nella laguna nera, quello sulla Terra nel dopo-Bomba, quello nel pianeta popolato dalle scimmie, quello nell'immensità del cosmo, quello nelle visioni registrate dalla mente umana, fino a quello totale di Voyage e Metropolis, entrambi film muti. Il silenzio, in conclusione, come sintesi tra "l'atto onirico" (nei sogni, i dialoghi, sono relegati ai margini) e del "piacere di vedere".

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6 Il compito inseguito in questo mio lavoro è quello di costruire, o almeno tentare di costruire, un modello sulle figure tipiche del cinema di fantascienza. Per questo ho fatto tesoro del metodo seguito da Claude Levi-Strauss nei suoi lunghi studi sul mito delle culture americane. Ho cercato di tirare fuori da alcuni film le immagini ricorrenti, per elaborare un modello che funzioni come una mappa geografica di orientamento, per ritrovare gli elementi tipici del cinema di fantascienza. Sei sono i film presi in considerazione, usciti nelle sale in decenni diversi, cercando di coprire questo primo secolo di vita della macchina cinematografica. Le voyage dans la lune (1902) di Georges Méliès, Metropolis (1926) di Fritz Lang, Il mostro della laguna nera (1954) di Jack Arnold, Il Dottor Stranamore (1963) e 2001: odissea nello spazio (1968) entrambi di Stanley Kubrick – la scelta caduta su due film dello stesso regista è casuale essendo una selezione operata sui film e non sugli autori di questi – e per chiudere Fino alla fine del mondo (1991) di Wim Wenders. Il lavoro è diviso in due parti. Nella prima si opera un’analisi di questi film. Si applica concretamente il metodo di Levi-Strauss, operando una frantumazione dei film, fino alla scomposizione degli elementi più minuti. Questa parte riguarda i segni – mitici - del cinema di fantascienza ad è suddivisa in quattro diversi capitoli per esporre i film scelti per questo lavoro, gli elementi fondamentali e le loro funzioni, l’analisi dei temi mitologici contenuti negli stessi film e per chiudere il tentativo di elaborare un modello strutturale.

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Informazioni tesi

  Autore: Roberto Mangano
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 1994-95
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: DAMS - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Mario Bolognari
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 210

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Parole chiave

cinema
cinema di fantascienza
claude lévi-strauss
effetti speciali
fantascienza
fritz lang
georges méliès
jack arnold
stanley kubrick
strutturalismo
wim wenders

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