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Sinestesie metropolitane. Il videoclip, la fabbrica delle icone.

Nel suo saggio A Gossip on Romance, Robert Louis Stevenson ha scritto: “Questa è dunque la parte plastica della letteratura: incarnare un personaggio, un pensiero o un’emozione in un atto o in un atteggiamento che colpisca profondamente l’occhio della mente”, citando l’indietreggiare di Robinson Crusoe davanti a un’orma.
Parafrasando il grande scrittore scozzese, crediamo di poter attribuire al videoclip la medesima funzione plastica: dare vita a una visione che riesca a colpire l’occhio della mente del consumatore in maniera profonda e duratura. Restituire dunque al performer il corpo, l'immagine, l'essenza stessa, caricandoli di senso fino a renderlo icona, marchio, brand.
Intendiamo a questo proposito assumere una prospettiva concettuale tesa a superare la dimensione un po' manichea entro la quale le analisi sul video sono state condotte fino a questo momento, che ha visto contrapporsi due precisi orientamenti: l'uno, prevalente nella prima fase degli studi sul videoclip, improntato allo scetticismo nei confronti di un oggetto dalle origini ibride e la cui vocazione commerciale non poteva che comprometterne la qualità, nonché il destino; l'altro, più recente, che alla luce delle evoluzioni estetiche e di un'affermazione non più discutibile di questo prodotto ne recupera il valore artistico, esplorandone le caratteristiche espressive. Si vuole andare oltre questa opposizione, proprio attraverso la chiave di lettura che entrambi questi approcci, per motivi diversi, rigettano: quella promozionale. Lontano dalla posizione di chi vede nelle sue intenzioni commerciali uno svilimento della forma, questo lavoro si propone invece di avvicinarsi al suo oggetto proprio secondo questa logica.
D'altro canto, la natura sostanzialmente pubblicitaria del video ci spinge ad interrogarci su quale sia il suo ruolo tra i modelli della comunicazione contemporanea; essa si nutre della specificità testuale del clip facendo delle sue caratteristiche precipue punti di forza in senso promozionale; ma l'indagine sulle ragioni di questa forza offre spunti interessanti anche sotto nuove angolazioni, consentendoci di procedere ad un ulteriore livello di approfondimento.
Messaggio sintetico e forma breve fondata sul visuale, il videoclip si radica fortemente nei flussi culturali contemporanei sia sul piano formale sia su quello sostanziale: la brevità, infatti, appare quasi come il filo che riconduce ad unità l'eterogeneo tessuto delle culture contemporanee, i cui contenuti, modelli e valori sembrano concepiti appositamente per una trasmissione rapida. Inoltre, il video si configura come vera e propria modalità comunicativa per un pubblico di riferimento chiaramente identificato, rispetto al quale, da ultimo, si costituisce come territorio di articolazione di modelli di comportamento e, quindi, di consumo.
Infine, il videoclip si caratterizza come un spazio ideale di contaminazione tra i diversi idiomi della cultura del nostro tempo. Esso costruisce la propria identità di strumento comunicativo percorrendo le linee di confine con gli altri linguaggi della contemporaneità, attingendone tecniche, stimoli e oggetti per poi riformularli secondo le forme che gli sono proprie.
Prodotto esso stesso dell'industria culturale, il videoclip la introietta e la rilancia, ne veicola i contenuti e li ritrasmette, essendone al contempo, inevitabilmente, condizionato; diviene, in un certo senso, uno dei dispositivi attraverso i quali la nostra cultura afferma la propria autoreferenzialità. Circolarmente, da questa posizione esso attinge il suo potenziale commerciale; ma, come avviene per la pubblicità tradizionalmente intesa, il messaggio si proietta ben oltre la merce, per trasformarsi, in definitiva, in valore culturale.

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1 PREFAZIONE Nell'iter formativo di uno studente universitario la tesi di laurea rappresenta pressoché l'unico esercizio compiuto di scrittura. Ma è anche un percorso individuale, diario (a tratti accidentale) dell'avvicendarsi di idee, confronti e intuizioni. Nella speranza di aver argomentato in maniera autosufficiente le ipotesi proposte in questo lavoro, ho voluto riservarmi questo spazio per accantonare momentaneamente la prospettiva analitica ed esprimere alcune considerazioni "in vivavoce" proprio sugli aspetti personali di questa esperienza. Alla tesi ci si avvicina inizialmente con distacco, quasi con freddezza, un po' per timore, un po' per una forma di cautela che spinge a mortificare qualsiasi aspirazione teorica. Tuttavia, man mano che si procede, quando la si vede prendere forma e progressivamente esibire quell'ideale coerenza in cui sin dal principio si era identificato l'approdo finale, si comincia a sentirla realmente come la propria creatura. Ancor prima di questo momento, però, vi è un altro passaggio cruciale, quello imprevisto, incontrollato, in cui si transita dall'horror vacui della pagina bianca alla tempesta concettuale in cui ogni idea appare utile, pertinente, necessaria e tuttavia stenta a trovare una collocazione. È colpa del pensiero associativo, direbbe Franco Battiato; la semiosi illimitata è il démone dello scrittore inesperto, i concetti iniziano a somigliare ad una materia plastica informe, da modellare e ordinare nell'intento di costruire un'impalcatura teorica, e pagina dopo pagina provare l'appagamento di verificarne la robustezza. Per arrivarci occorre acquisire un metodo.

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Informazioni tesi

  Autore: Simona Saraceno
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: Scienze della Comunicazione
  Relatore: Daniele Pittèri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 188

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