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Liberismo e interventismo alla prova della recessione economica: la storiografia recente sulla “Grande depressione”

La recente crisi dei mercati finanziari e recessione economica del 2009 stanno rappresentando la più significativa interruzione dello sviluppo economico dagli anni Trenta del XX . Per evitare il ripetersi di quella drammatica crisi, i governi e le banche centrali di tutti i Paesi stanno mettendo in atto imponenti misure fiscali e monetarie. Il problema è capire se tali politiche saranno efficaci. Si può rispondere a tale domanda rileggendo la crisi del 1929, che è stata uno degli eventi principali del XX secolo e ha segnato profondamente sia il pensiero economico, sia il ruolo della politica economica e monetaria nell’economia capitalistica. In particolare l’obiettivo dell’elaborato è quello di comprendere, attraverso il dibattito storiografico, se alla gravità della crisi contribuirono proprio politiche economiche e monetarie sbagliate. In definitiva, dall’analisi condotta sulla storiografia non si può asserire con certezza se i policy makers degli anni Trenta abbiano contribuito a risolvere o ostacolare la ripresa, ma certamente gli effetti delle politiche economiche e monetarie devono essere considerate come una variabile importante nell’andamento della Grande depressione.
Comunque, secondo il parere di chi scrive, l’analisi delle politiche economiche e monetarie degli anni Trenta può suggerire che una recessione non può essere superata né con le sole forze del mercato, né con l’eccessivo intervento dello Stato. Infatti, da solo il mercato non poté rispondere nel breve periodo alle esigenze degli individui che non riuscivano a sopravvivere senza un lavoro e una casa; era evidente che in quel contesto solo lo Stato (che rappresenta la comunità collettiva) poteva far fronte ai bisogni di così grandi masse, come dimostra il caso Americano. Discutibile però sono state le modalità con cui tale intervento si realizzò. Negli Stati Uniti i provvedimenti del governo alleviarono i problemi di alcuni individui e delle imprese nel breve periodo, ma la continua interferenza nel mercato può aver avuto degli effetti negativi sul medio periodo, come dimostrano le numerose argomentazioni di molti studiosi. Sul mercato del lavoro si introdussero tutele che spesso andarono solo a vantaggio dei lavoratori già occupati, nel settore agricolo si favorirono i grandi proprietari a scapito dei piccoli agricoltori, nel settore industriale si ridusse la concorrenza fra le imprese. Il caso tedesco dimostra che l’incapacità dei governi della Repubblica di Weimar di far fronte ai bisogni della popolazione e delle imprese durante la crisi scatenò disordini sociali ed economici, mentre l’intervento eccessivo dello Stato nell’economia portò a una situazione in cui la ripresa e l’occupazione furono realizzate al caro prezzo della libertà economica e politica, fino alla quasi negazione dello stesso sistema capitalistico. Senza la guerra, in accordo con le interpretazioni fornite, la ripresa sarebbe stata di breve durata. Quindi l’insegnamento che si può dedurre è quello che le istituzioni durante una crisi devono agire nel mercato in modo tale si realizzi un equilibrio in grado di porre rimedio ai fallimenti di entrambi. E’ necessario correggere gli squilibri del mercato e non eliminarlo. Un esempio di ciò può essere stato la legislazione introdotta dal New Deal per regolare il mercato azionario (come la Securities Exchange Commission) senza aver la pretesa di porre il controllo su di esso. Anche il riconoscimento delle organizzazioni sindacali permise la contrattazione paritaria con i datori di lavori. In tal modo si lasciano agire le forze del mercato nel rispetto delle regole, favorendo un’equa competizione fra gli agenti economici.
Bisogna soprattutto evitare quelle ideologie economiche che dal punto di vista teorico possono essere logiche, ma se implementate nella realtà possono avere effetti nefasti. La storia insegna che proprio l’aderenza all’ortodossia classica e successivamente la pianificazione forzata fecero leggere l’economia reale da un solo punto di vista, facendo adottare politiche economiche aderenti alla teoria ma poco adatte a combattere la crisi in modo duraturo.
Al contrario, la contrapposizione fra varie scuole di pensiero, come si è cercato di fare in questo elaborato, può permettere di leggere i fatti economici da più punti di vista, aiutando a comprendere meglio i problemi.

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1. Natura e limiti della ricerca La crisi del 1929 è stata uno degli eventi principali del XX secolo e ha segnato profondamente sia il pensiero economico, sia il ruolo della politica economica e monetaria nell’economia capitalistica. Una recessione che agli occhi dei contemporanei sembrava una normale fluttuazione ciclica si è trasformata in una delle più gravi crisi che il capitalismo ricordi. In questo contesto sembrava che l’economia capitalistica e il libero mercato non sapessero più rispondere a quel bisogno di benessere e sviluppo economico che si era realizzato a partire dalla rivoluzione industriale in Europa e negli Stati Uniti, seppure a fasi cicliche. Nei primi anni Trenta in molti paesi dilagavano i fallimenti bancari e delle imprese; la disoccupazione coinvolgeva larghe masse della popolazione. Di fronte a questi fenomeni negli anni Trenta non era ancora ben presente la consapevolezza macroeconomica degli effetti delle politiche economiche e monetarie, specialmente di fronte alla recessione. La rilettura della crisi ha invece mostrato che i governi e le banche centrali possono avere una funzione nel determinare la stabilità del sistema economico nel suo complesso. Proprio per questo è scaturito il dibattito, presente ancora oggi, fra chi è favorevole a un mercato libero, in cui le forze economiche si aggiustano automaticamente di fronte alle crisi e chi invece riconosce alcuni fallimenti del mercato e perciò ritiene necessario un intervento da parte delle autorità statali e monetarie. Lo scopo di questo elaborato è di analizzare quale fosse stato il ruolo delle politiche economiche e monetarie di fronte alla crisi alla luce dell’interpretazione da parte degli storici economici e degli economisti a partire dalla seconda metà del XX secolo. Il dibattito più vivace, che questo elaborato ha cercato di cogliere, si concentra però nel ventennio che va dalla metà degli anni Settanta agli anni Novanta, in un periodo relativamente vicino a noi, tenendo conto dei tempi della storia. In particolare l’obiettivo è quello di comprendere, attraverso il dibattito storiografico, se alla gravità della crisi contribuirono proprio politiche economiche e monetarie sbagliate. I paragrafi di dibattito storiografico sono preceduti da parti descrittive in modo tale che il lettore abbia una conoscenza dei fatti economici discussi in un secondo momento. La letteratura sull’argomento è soprattutto anglosassone. Pochi sono i testi tradotti in italiano e la maggior parte della bibliografia è stata ricavata dalla lettura di riviste autorevoli come “The Economic History Review”, “The Journal of Economic History”, “The American Economic Review”, “Explorations in Economic History”, “The Business History Review”. Nel caso specifico della Germania, chi scrive ha solo considerato testi tradotti o di lingua inglese, non essendo in possesso di conoscenze linguistiche appropriate per quanto i

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Informazioni tesi

  Autore: Luca Della Marianna
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2006-07
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Economia
  Corso: Scienze economico-aziendali
  Relatore: Gianpiero Fumi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 223

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